Dalla manifestazione di Villa Borghese a Roma, teologhe di diverse religioni, ciascuna a partire dai propri testi sacri, propongono un approccio non predatorio della terra. Dal panel giunge un messaggio univoco: “La natura non è una risorsa da sfruttare, ma una dimensione da custodire”
Daniele Piccini – Roma
“La desertificazione non è solo un fenomeno ecologico, ma è segno di una ferita più profonda nel rapporto tra uomo, natura e Dio. Ecco perché Papa Francesco parla di ecologia integrale: per ristabilire questo rapporto serve la tenerezza del cuore”. Sono le parole con cui la teologa Rawan Naber del Movimento dei Focolari ha introdotto oggi, giovedì 10 aprile, il panel composto da teologhe di diverse religioni dal titolo Combattere la desertificazione. Il ruolo delle donne di fronte alle sfide ambientali. Il talk, promosso da Religions for Peace, si è svolto sulla Terrazza del Pincio a Roma, nell’ambito della manifestazione Villaggio per la Terra che fino a domenica 13 intende celebrare la Giornata Mondiale della Terra.
Dio, natura e uomo
“Il cristianesimo – ha detto la teologa Naber nel suo intervento – è stato storicamente accusato di aver promosso lo sfruttamento e il dominio del Creato. Ma la Chiesa negli anni ‘60 ha cambiato paradigma, superando il binomio natura e uomo e introducendo una triade con Dio. Questo ha moderato l’antropocentrismo esasperato e promosso un equilibrio più armonioso perché natura e uomo sono creati da Dio. L’uomo è chiamato a custodire e far crescere la natura. Non deve possederla – ha concluso Naber – ma guardarla con stupore”.
Il contributo dell’Ebraismo
Ricco il patrimonio sapienziale dedicato alla protezione del Creato nei testi sacri dell’Ebraismo. “Nella Torah sono innumerevoli le volte in cui si parla di ambiente. Si dice che l’albero e la terra non ci appartengono. Il Talmud chiede addirittura all’uomo umiltà verso la natura. Questo testo ricorda all’uomo che è stato creato dopo la zanzara. Questo è un invito a non sfidare la natura”, ha detto Judith Di Porto della Comunità Ebraica di Roma. “Già appena terminata la creazione, Adamo si guardò intorno e vide una varietà infinita di piante. Dio gli disse di non distruggerle, poiché se le avesse distrutte – ha terminato Di Porto – nessuno potrà farle rinascere”.
Islam e custodia del Creato
Anche il Corano contiene preziose indicazioni sulla salvaguardia del Creato. “Il Corano ci insegna che la natura è un dono gratuito che viene dall’amore di Dio alla comunità umana intera” ha spiegato la teologa musulmana, Shahrzad Housmand. “Quindi il ruolo dell’uomo è custodire la bellezza che ha ricevuto. Il Corano non parla dell’essere umano come il padrone della natura – ha concluso – ma più come una specie di luogotenente, colui che succede a Dio come custode amorevole”.
Il mea culpa della Chiesa Evangelica
“Negli anni ’80 la Chiesa evangelica ha fatto autocritica del modo in cui Dio ha invitato l’uomo e la donna a dominare la Terra. L’uomo è stato creato per ultimo. Questo lo rende responsabile di ciò che è stato creato prima di lui. La teologia ecologica, che nasce in quegli anni, promuove la custodia della natura come manifestazione del Dio creatore”, ha detto Francesca Evangelisti, della Chiesa Avventista.
La Terra è madre
Insegnamenti preziosi sulla salvaguardia del creato sono contenuti anche nella filosofia buddista. “La Terra non è il luogo in cui viviamo, ma è nostra madre”, ha esordito Barbara Bensi, del Centro Zen L’Arco. “Dovremmo guarire dal nostro approccio predatorio ed egoista. Se la natura si ammala – ha concluso Bensi – ne risente anche l’uomo e la società”.
L’avidità è il male
“Tutto ciò che compone i nostri corpi, compone anche tutta la natura. Così si annulla l’antropocentrismo”, ha spiegato Swamini Shuddhananda Ghiri dell’Unione Induista Italiana. “L’uomo vale come una foglia, come una pietra, come un animale. Invece siamo la specie che distrugge di più in assoluto. Pensiamo che sia tutto a nostra disposizione. L’avidità è la radice del male”, ha concluso l’esponente dell’Unione Induista Italiana.
Nel corso del panel Luigi De Salvia, presidente di Religions for Peace ha presentato il Tunisia Italy Anti desertification Project, che proprio con il sostegno di reti interreligiose cerca di sensibilizzare le comunità locali sul fenomeno della desertificazione e delle sue drammatiche conseguenze sociali.