Durante la seconda giornata del Villaggio per la Terra sono proseguiti i workshop, i talk, i concerti e le altre iniziative di sensibilizzazione sull’ambiente. Spicca, tra le altre, quella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore: “Medicina, economia e tecnologia a servizio del pianeta”. Spiega la prof.ssa Antonia Testa del Movimento dei Focolari: formiamo medici che vivano in concreto i principi di una “terza missione”, non solo ricerca e didattica, ma il compito di arrivare a tutti
Maria Milvia Morciano – Roma
I colori della mattina di primavera sono più smaglianti sul colle del Pincio anche perché, oltre a un cielo senza nuvole e gli alberi in pieno rigoglio, lo spazio del Galoppatoio di Villa Borghese è punteggiato dai cappellini blu, gialli e rossi di mille bambini, piccolissimi, che affollano gli stand, curiosi e attenti. Venerdì 11 aprile, siamo giunti alla seconda giornata del Villaggio della Terra, la più grande manifestazione d’Italia che celebra l’Earth Day 2025.
Lo sguardo azzurro della professoressa Antonia Testa, docente all’Università Cattolica di ginecologia e membro del Movimento dei Focolari, tra gli organizzatori del Villaggio per la Terra, parla prima di lei e trasmette emozioni profonde. Il medico condivide con i Media Vaticani la genesi della manifestazione e l’attività svolta quest’anno nell’area associativa del Galoppatoio, “Medicina, economia e tecnologia a servizio del pianeta” curata dall’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Com’è nato il Villaggio della Terra?
Il Villaggio per la Terra è nato dalla collaborazione tra Earth Day Italia e il Movimento dei Focolari. Era stata appena pubblicata l’enciclica di Papa Francesco Laudato si’, e noi Focolari sentivamo una spinta fortissima a realizzare qualcosa che restituisse alla città di Roma uno sguardo positivo, in un momento in cui dominavano tanti scandali e le cronache dei quotidiani parlavano continuamente di illegalità. Eppure io stessa, ma anche gli amici attorno a me, conoscevamo così tante persone che si adoperano per il bene, che ci siamo chiesti in che modo poter trasmettere questa iniezione di bene, questo regalo alla nostra città. Chiaramente come membri del Movimento, occupandoci tutti i giorni della nostra professione – io ad esempio in ospedale e all’università – , non avevamo la possibilità, tecnicamente e sotto il profilo organizzativo, di riuscire a realizzare qualcosa che fosse d’impatto. La Provvidenza, è il caso di dirlo, ci ha fatto incontrare “Earth Day Italia”, nella figura del presidente Pierluigi Sassi e il suo gruppo. Avevano appena organizzato la marcia dal Colosseo su richiesta del Vicariato di Roma. Questo è bastato: era la fine del 2015.
Qual è stato il segreto del successo di questo evento?
A gennaio 2016 avviene questo incontro, questo scambio di ciò che ciascuno aveva nel cuore come sogno. Pierluigi Sassi è stato super accogliente, quindi ci ha lanciato l’idea di includere nel “Concerto per la terra” qualcosa da organizzare insieme. Ci siamo avventurati in un percorso del tutto inesplorato, non pianificato. Inoltre non ci conoscevamo e sappiamo quanto possa essere delicata una collaborazione che richiede anche investimenti e organizzazione. Gli ostacoli ci sono stati, c’è stato anche il rischio di bloccarci, ma la scoperta l’uno dell’altro è stata la radice di questo evento che continua da dieci anni, che spaventa anche, chiedendoci come sia stato possibile. Qualcuno mi chiede qual è il segreto di questo successo e io oso dire che il segreto sta nella fiducia, nel superare i conflitti, come ci disse Papa Francesco che intervenne a sorpresa durante la nostra prima edizione. Non sapevamo neanche noi cosa eravamo riusciti a realizzare, lui stesso lasciò perdere i fogli che aveva preparato e a braccio proprio qui, guardando questo terreno e le persone che aveva di fronte, fece sgorgare dal suo cuore quello che secondo me è un piano d’azione, un’autentica visione, perché le sue parole furono: “Voi trasformate il deserto in foresta”. Recepimmo queste parole come un monito e le abbiamo prese come una grande scommessa alla quale abbiamo voluto aderire. Ora, dopo dieci anni, possiamo dire che le parole del Pontefice continuano a rappresentare il nostro impegno. E vogliamo che continuino.
La fiducia, superare i conflitti, non lasciarsene irretire ma continuare a lavorare per l’unità e infine il coraggio del perdono: è per questo motivo che oggi ho la grande gioia di avere qui più di 170 giovani dell’Università Cattolica del Campus di Roma che hanno fatto una formazione di cinque mesi e vivono in concreto quello che noi enunciamo con i principi della “terza missione”, che vuol dire non solo fare ricerca, non solo didattica – l’università – ma il compito di arrivare alla popolazione. Stamattina mi sono commossa nel vederli accogliere questi piccolissimi e creare con loro l’Ospedale degli orsetti o il neurochirurgo che ha mostrato la tecnologia più avanzata, quindi vedere i ragazzi e la loro profonda intergenerazionalità. Abbiamo ricercatori che si sono messi in gioco e insegnano ai loro studenti al fine di colmare questo gap e far vedere con quali occhi si sono avventurati in questo percorso. Quindi: intergenerazionalità, contatto con la natura, gratitudine, amore per la bellezza che vedono attorno e che è incantevole, vedere il bene che cresce, che era il nostro sogno.
Lei come medico e come docente – Università Cattolica e Policlinico Gemelli – cosa può dirci sugli stand specializzati nelle scienze mediche, al fine di proporre un’ecologia dell’uomo, un’ecologia integrale che parla anche della salute delle persone?
ICome medico ho sentito e sento tutti i giorni la responsabilità di far bene la nostra professione e di arrivare anche laddove ci siano luoghi inesplorati, arrivare alla popolazione, ma la mia grande passione è proprio anche la didattica e la ricerca. Quindi questo luogo mi sembra un laboratorio a cielo aperto in cui le parole di Papa Francesco e l’ecologia integrale è possibile viverle e offrirle. Non vogliamo essere naife, perché non è tutto facile, semplice, ma la gratitudine, la soddisfazione che ti viene dalla constatazione che queste relazioni autentiche sono possibili e che l’uno è veramente dono per l’altro – il bambino verso un adulto, un professionista verso l’altro, un cantante verso un economista – è notevole e fa la differenza.
Nel Villaggio per la Terra protagonisti sono i bambini. Che cos’è, ad esempio, il cosiddetto “Ospedale degli orsetti”?
Si tratta di un progetto che nasce nel nord Europa. I colleghi pediatri l’hanno comunicato e hanno visto che qui poteva esserci il luogo migliore per realizzarlo. Abbiamo pediatri specializzandi, giovani studenti, che accolgono centinaia di bambini dai tre ai cinque anni. Il bambino porta il suo orsacchiotto, interagisce con il medico. “Cos’è successo con l’orsacchiotto? Ha un mal di pancia? È caduto?” E raccolgono la storia interagendo con il piccolo. Questo comporta un grande valore educativo. Il bambino supera il camice bianco e insieme decidono, “facciamo una TAC, facciamo una lastra, diamo una cura, andiamo in sala operatoria per togliere la spina”. Ieri durante il debreifing con i ragazzi a cui abbiamo chiesto come erano andati i workshop, una ragazza mi ha detto di essersi quasi commossa quando un bambino di cinque anni, alla domanda “Cos’ha il tuo orsacchiootto”?, ha risposto: “Ha male al cuore”. “Male al cuore? Che gli è successo?”, gli chiede la specializzanda. “L’ha lasciato la fidanzata”, risponde quindi il bambino. Dunque, si crea anchhe gioco, avventura, complicità.
Bellissimo anche il laboratorio dei nostri psichiatri. Abbiamo sempre specializzandi, studenti che l’anno scorso hanno raccolto dai questionari, vivendo i workshop qui nel villaggio, e hanno verificato che un tema molto sentito è proprio quello della solitudine. Coinvolgono i bambini in mille giochi, mille azioni per far emergere da loro come si relazionano con le emozioni, che cosa li rende felici. Anche dal punto di vista medico stiamo traendo delle informazioni molto specifiche. I colleghi psichiatri hanno riportato questa esperienza del Villaggio nei loro ambulatori quotidiani. L’altro aspetto molto bello è che il villaggio non è, non voleva e non vuole essere un evento. È un esperimento continuo lungo l’anno che porta a mille inesplorate, impensate sinergie.
Che cos’è, invece, “Ruote a Spasso”?
“Ruote a Spasso” è un’iniziativa fantastica. Roberta, che vive la sua condizione fisica su una sede a rotelle, e il suo compagno Massimo si sono resi conto che andando a visitare alcuni luoghi artistici, visitare alcuni luoghi in Italia, trovavano tante difficoltà. Quindi hanno pensato come aiutare chi vive la loro stessa condizione. Hanno avuto l’idea di realizzare una sorta di mappatura attraverso Google Maps, dove poter registrare i luoghi accessibili alle persone disabili, quelli consigliati, e hanno anche realizzato un marchio che lanceranno oggi pomeriggio, “Usabile”. Nel Villaggio sono arrivati con un certo numero di carrozzine e ai ragazzini, agli adulti, ai giovani, fanno fare questo workshop. La persona si siede sulla carrozzina, l’amico, il compagno, lo trasporta. Il compagno trasportatore si rende conto delle difficoltà quando ci si trova su un terreno come questo pieno di sassi. Cosa vuol dire portare per mezz’ora una persona in carrozzina? La persona che è sulla carrozzina si rende conto di cosa vuol dire guardare il mondo da quell’altezza. Cosa vuol dire interagire con le persone, come ti guardano. È un laboratorio di un impatto incredibile.