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Vegliare, attendere e alzare lo sguardo, nonostante tutto

La prossima domenica, la terza di Avvento, i sacerdoti indossano una veste rosa, luminosa.

È per celebrare la domenica “Gaudete”, siate lieti: sta per nascere il Salvatore del mondo, Gesù. La liturgia parla, comunica coi segni, coi simboli, con i colori, e abbiamo disimparato a comprenderli, riducendo la Messa a un rituale, peraltro noioso, con l’orologio all’occhio e l’orecchio al bisbiglio del banco a fianco.

Immemori e ormai ignoranti di ciò che accade, su quell’altare, in quell’assemblea.

Ci si chiede allora cosa ci sia da gioire, in questo tempo lacerato da guerre che si moltiplicano per un contagio folle di odio.
Guerre senza soluzioni, sempre più cattive e portatrici di ulteriori vendette, come se si cercasse da ogni parte l’autodistruzione.

In questo tempo dimentico dell’uomo, sempre più servo inconsapevole di tecnologie sofisticate, che ci guardano come dati, numeri da comporre e ricomporre secondo il calcolo delle probabilità.
Un tempo che lascia sempre indietro i più fragili, i più poveri, i diversi.

E ci finiremo tutti, ai margini delle curve statistiche che l’intelligenza artificiale elabora per massimizzare i risultati.

In un tempo di desideri piccini, rincorsi con rapacità anche dai più giovani, così pronti alla violenza, così proni alla legge del più forte:
ragazzi che non sappiamo più leggere né custodire, preda del denaro facile e dei like sui social, vuoti e senza volontà di costruire il futuro.

In un tempo in cui di Gesù che viene pare non importare a nessuno.
Le luminarie, i festoni, leccornie in bella mostra, montagne di giocattoli e panettoni per bambini avidi eppure sempre più tristi e soli.

Natale è, al più, un grosso signore con la giubba rossa, capo di una factory di elfi, che scarrozza nei cieli frustando le renne.
Questo passiamo ai nostri figli.

Che c’è da gioire?
Che c’è da giubilare, per questo anno della speranza che viene, con la Notte Santa?

Eppure, la speranza non delude mai, se sappiamo vegliare, attendere e quindi alzare lo sguardo.

Per esempio, c’è un professore universitario in pensione che dona il suo tempo in un carcere di massima sicurezza per far studiare e far compagnia ai carcerati, quelli su cui non avresti scommesso mai.
Confida che impara tanto da loro, dalla loro capacità di sopportare la prigionia, la vergogna, l’esclusione.

Mentre noi sopportiamo così poco.

La fede.

Per esempio, il tendone davanti alla chiesa ucraina straripa di abiti pesanti e coperte, con un viavai continuo di giovani, anziani, famiglie che pensano al freddo, alla desolazione.
La carità.

Per esempio, gli occhi di un bimbo che scruta il presepe e sistema gli angeli e mette il cotone nella culletta del Bambinello, perché stia comodo quando verrà.
La speranza.

Come diceva il poeta Charles Péguy,
è lei che tiene per mano le altre due virtù, le due sorelle più grandi.
È lei che ci fa gioire e rinascere anche in questo Natale.





Dal sito Famiglia Cristiana

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