Dal rapporto dell’Istituto di ricerca di Stoccolma emerge la crescita del 155% delle importazioni europee di armi tra il periodo 2015-2019 e quello 2020-2024 come “risposta” all’invasione russa dell’Ucraina
Giovanni Zavatta – Città del Vaticano
È ancora l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, cominciata nel febbraio 2022, a condizionare fortemente i dati sui trasferimenti di armi pubblicati dallo Stockholm International Peace Research Institute (Sipri). L’ultimo rapporto, diffuso oggi 10 marzo, evidenzia infatti che l’Ucraina è diventata il più grande importatore mondiale di armi pesanti nel periodo 2020-2024, con gli acquisti dall’estero aumentati di quasi cento volte rispetto al 2015-2019.
La crescita dell’import di armi in Europa
Altro dato significativo è la crescita — complessivamente del 155 per cento tra gli stessi periodi — delle importazioni europee di armi, sempre come “risposta” all’invasione russa dell’Ucraina e all’incertezza sul futuro della politica estera degli Stati Uniti. Questi ultimi dal canto loro hanno ulteriormente incrementato la quota di esportazioni globali di armi al 43 per cento, mentre le esportazioni della Russia sono diminuite del 64 per cento. “I nuovi dati riflettono chiaramente il riarmo in atto tra gli stati in Europa in risposta alla minaccia proveniente dalla Russia”, afferma Mathew George, direttore del programma del Sipri sui trasferimenti di armi.
La voce instancabile di Papa Francesco
L’evoluzione del turpe mercato delle armi, con il suo astronomico giro d’affari che si alimenta con le sofferenze delle popolazioni, è una tragica conferma di quanto sin dall’inizio del Pontificato Papa Francesco ha ripetutamente e fortemente denunciato: «Ci sono sistemi economici — affermava il Pontefice nel 2014 — che per sopravvivere devono fare la guerra. Allora si fabbricano e si vendono armi e così i bilanci delle economie che sacrificano l’uomo ai piedi dell’idolo del denaro ovviamente vengono sanati. E non si pensa ai bambini affamati nei campi profughi, non si pensa ai dislocamenti forzati, non si pensa alle case distrutte, non si pensa neppure a tante vite spezzate». La “guerra mondiale a pezzi” stigmatizzata continuamente dal Papa è proprio il frutto di queste logiche economiche criminali.
I dati sugli Stati Uniti
Tornando al rapporto del Sipri, si legge che almeno trentacinque nazioni hanno inviato armi all’Ucraina dopo il febbraio 2022 e ulteriori consegne sono in arrivo. Kyiv ha ricevuto l’8,8 percento delle importazioni globali nel 2020-2024, la maggior parte delle quali provenienti da Stati Uniti (45 per cento), Germania (12) e Polonia (11). Le cifre fornite dal Sipri segnalano che l’acquisto da parte dei membri europei della Nato è più che raddoppiato tra il 2015-2019 e il 2020-2024 e che gli Stati Uniti hanno fornito il 64 per cento di queste armi, seguiti a distanza da Francia, Corea del Sud, Germania e Israele. “Con una Russia sempre più belligerante e relazioni transatlantiche sotto stress durante la prima presidenza Trump — commenta il capo ricercatore Pieter Wezeman — gli stati europei della Nato hanno preso misure per ridurre la loro dipendenza dalle importazioni e rafforzare l’industria europea delle armi” (ma hanno tuttora quasi cinquecento aerei da combattimento e molti altri strumenti di guerra ordinati negli Usa). Gli Stati Uniti insomma continuano ad aumentare la loro quota di esportazioni di armi: +21 per cento tra il 2015-2019 e il 2020-2024, globalmente cresciuta dal 35 al 43 per cento. Ben centosette gli stati che hanno comprato armi dagli Usa negli ultimi quattro anni. E, per la prima volta in due decenni, la quota maggiore delle esportazioni di armi statunitensi, nel 2020-2024, è andata all’Europa (35 per cento) anziché al Medio Oriente (33). Gli Usa, osservano gli esperti, “continuano a essere il fornitore privilegiato per capacità avanzate di attacco a lungo raggio, come gli aerei da combattimento”.
La posizione della Russia
Come detto, sono diminuite drasticamente invece le esportazioni russe: la guerra contro l’Ucraina comporta la necessità di più armi sul campo di battaglia e le sanzioni commerciali rendono più difficile per la Russia produrre e vendere, mentre gli Stati Uniti e i suoi alleati fanno pressione sugli stati affinché non acquistino armi russe. India, Cina e Kazakistan restano le principali nazioni che acquistano da Mosca. La Corea del Nord ha esportato artiglieria e missili in Russia per usarli in Ucraina. Con ciò entrambi gli stati hanno violato le sanzioni delle Nazioni Unite a Pyongyang.
Una panoramica sulle forniture di armi nel mondo
Da sottolineare che la Francia è diventata il secondo fornitore di armi al mondo nel periodo 2020-2024, avendole consegnate a ben sessantacinque stati. Le esportazioni francesi verso altri paesi europei sono quasi triplicate tra il 2015-2019 e il 2020-2024, specialmente per le consegne di aerei da combattimento a Grecia e Croazia e alle forniture all’Ucraina. Ma è l’India di gran lunga ad aver ricevuto la quota maggiore (28 per cento), seguita dal Qatar (9,7).Scorrendo il dossier del Sipri, scopriamo che Asia e Oceania restano i due maggiori continenti importatori di armi. La quota a loro destinata è tuttavia scesa dal 41 al 33 per cento. Un calo in gran parte dovuto alla riduzione del 64 per cento delle importazioni di armi da parte della Cina sostituendole con sistemi progettati e prodotti localmente. India (il secondo in assoluto al mondo), Pakistan, Giappone e Australia figurano tra i principali paesi importatori dei due continenti. Passando al Medio Oriente gli acquisti dall’estero sono calati del 20 per cento tra i due periodi di riferimento. Tuttavia, «i conflitti e le tensioni regionali continuano a stimolare la domanda di importazioni di armi nell’area», afferma il ricercatore Zain Hussain, «e, dato il volume delle consegne in sospeso, il Medio Oriente continuerà a essere una delle principali regioni importatrici». Israele «ha ricevuto un consistente aiuto militare dagli Usa in seguito all’attacco di Hamas il 7 ottobre 2023», mentre Hamas, Hezbollah e Houthi «hanno fatto affidamento sulle armi iraniane».
L’insicurezza in Africa
Insicurezza e conflitti determinano un forte aumento delle importazioni anche in Africa occidentale. I trasferimenti di armi sono cresciuti notevolmente negli ultimi quindici anni. Gli acquisti dall’estero combinati sono quasi raddoppiati (+82 per cento) tra il 2010-2014 e il 2020-2024. La Nigeria ha rappresentato di gran lunga la quota maggiore (34 per cento). La crescita in Africa occidentale, commenta l’esperta del Sipri Katarina Djokic, “è stata sorprendente. Mentre il volume delle importazioni rimane relativamente piccolo, ha importanti implicazioni geopolitiche. Stati come Burkina Faso, Mali e Senegal sembrano aumentare rapidamente le importazioni. I fornitori di armi stanno utilizzando le esportazioni per aumentare la loro influenza in questa parte del mondo, compresi fornitori emergenti come la Turchia”. In assoluto gli aerei da combattimento sono la principale arma d’attacco a lungo raggio importata dagli stati, ma l’interesse per i missili terrestri a lunga gittata è in aumento. Nel 2020-2024 gli Stati Uniti hanno fornito il 45 percento delle esportazioni globali di missili. Spiccano poi le cifre relative al Brasile: gli acquisti di armamenti sono saliti del 77 per cento tra i due periodi di riferimento e hanno rappresentato il 49 per cento di tutte le importazioni di armi in Sud America nel 2020-2024. I principali fornitori in quest’area del mondo sono Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
Il commento del segretario del comitato organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici
Uno degli aspetti fondamentali del rapporto Sipri è l’aumento delle spese militari a livello europeo. Per il segretario del comitato organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici Sebastiano Nerozzi, intervistato dai media vaticani, c’è il rischio che per aumentare le spese per le armi si tagli il welfare “anche se non è un rischio immediato, perché le spese vengono decurtate dai parametri fiscali e quindi possono essere finanziate in deficit. Però occorre considerare che poi il deficit, al di là dei suoi aspetti regolamentari, incide sempre sulla stabilità percepita dai mercati e sui debiti pubblici, e quindi potrebbe richiedere aggiustamenti che in quel caso andrebbero a ricadere proprio sulle spese per il welfare. E quindi si tratta di un’equazione non necessariamente a somma zero che però non può essere presa alla leggera”. L’aumento delle spese militari fa il paio con le difficoltà della diplomazia. Per Nerozzi, in Europa «ci siamo forse attardati a lungo sotto la falsa sicurezza della protezione americana, senza rendersi conto che questo richiedeva uno scatto di qualità nei tentativi diplomatici che venivano messi in atto. Troppo nazionalismo, troppa attenzione all’interesse proprio e poca capacità di coordinarci. Solo un’Europa che sa parlare con una voce sola può coordinare i propri dispositivi di sicurezza, e d’altra parte soprattutto mettere davanti una strategia diplomatica che sia credibile, che sia orientata a valori autenticamente democratici e possa portare la soluzione dei conflitti che ormai sono dentro il nostro continente”.