Padre Tomaž Mavrič ha visitato tra il 10 e il 22 marzo scorsi le comunità dell’istituto religioso sparse in varie città del Paese: sono rimasti tutti al loro posto e chi era andato via all’inizio della guerra è tornato. E sono sempre pronti a portare aiuto sfidando anche i pericoli al fronte
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
«Anche dopo tre anni di guerra, di dolore insopportabile e di sofferenza, tutti continuano a restare al loro posto, in luoghi in cui in qualsiasi momento può cadere un drone o qualche altro tipo di ordigno bellico può colpire la loro casa, l’appartamento, la chiesa dove si radunano. Ma continuano a riunirsi, continuano a pregare e sono pronti ad aiutare chiunque». La constatazione è di padre Tomaž Mavrič, superiore generale della Congregazione della Missione e della Compagnia delle Suore della Carità di San Vincenzo de Paoli. Nell’intervista ai media vaticani il religioso parla dell’operato dell’istituto in Ucraina, dopo aver visitato dal 10 al 22 marzo scorsi i confratelli e le altre comunità della famiglia vincenziana nel Paese.
Vicinanza senza paura
«Lo scopo della mia visita – racconta – è stato semplicemente quello di stare con loro. Stare lì per dimostrare la vicinanza della congregazione, perché non si sentano dimenticati o messi da parte ma il contrario. Noi preghiamo costantemente per l’Ucraina come fa tutto il mondo e cerchiamo di avere sempre contatti via telefono o e-mail. Ma ho ritenuto fosse meglio andare e vedere, e non solo uno o due posti ma tutti, non importa se la zona potesse essere difficile o pericolosa. I confratelli sono lì, e anch’io ho bisogno di essere lì». Padre Tomaž è riuscito a visitare tutte e sei le comunità della Congregazione della Missione che si trovano a Kyiv, Odesa, Kharkiv, Perechyn (regione di Zakarpattia), Storozhynets (regione di Chernivtsi), Sniatyn (regione di Ivano-Frankivsk). Alla domanda se abbia avuto paura, il superiore generale replica: «No, per niente. Ero in pace totale. Persino nel sentire i droni qui a Kyiv, a Odessa, a Kharkiv o le sirene d’allarme quando si avvicinava un pericolo, mi sentivo tranquillo. E questa è una grazia. Nessuna paura. È stato come visitare le nostre missioni prima della guerra»
Una Chiesa generosa
Padre Tomaž ha precisato di essere andato in Ucraina «non per tenere discorsi, lezioni o dare suggerimenti», quanto piuttosto «per imparare, ascoltare, vedere, per incontrare le persone». Quello che ha potuto osservare nei tanti incontri non solo con i confratelli ma anche con tutte le comunità della famiglia vincenziana – che in Ucraina conta dieci rami – è stata soprattutto una testimonianza di fede. «Ho detto loro: voi continuate a pregare, a partecipare all’Eucaristia, e pure in queste situazioni terribili che avete vissuto e state vivendo continuate a credere che Gesù avrà l’ultima parola, che la verità avrà l’ultima parola. Di questo vi ringrazio molto». Un’altra cosa che ha colpito il religioso è la generosità dei tanti sacerdoti, suore e laici che aiutano chi ha bisogno. In una situazione di grande criticità non pensano solo a sé stessi e alle loro famiglie, ma sono pronti ad aiutare tutti, portano gli aiuti umanitari che continuano ad arrivare in diversi villaggi, città e, se riescono, anche ai soldati al fronte.
Il coraggio di restare e aiutare
«Quali sono le principali sfide che i sacerdoti, le suore e i laici della famiglia vincenziana stanno affrontando in questo momento in Ucraina?», chiediamo a padre Mavrič. «Per loro – replica – è molto importante sentire il sostegno spirituale del resto del mondo, dei vincenziani degli altri Paesi, e ricevere per quanto possibile gli aiuti umanitari. Ne hanno un bisogno continuo perché – soprattutto i nostri confratelli, il clero in generale, le suore e i laici – sono organizzati in modo tale da portare gli aiuti in diversi punti dell’Ucraina, man mano che ricevono richieste. E ce ne sono diverse: principalmente si tratta di medicine, cibo, pannolini, vestiti, lenzuola, coperte calde. Per il resto, sono degli eroi perché restano lì, non se ne vanno. La gente molte volte dice loro: “Se voi religiosi, se voi sacerdoti, frati, suore ve ne andate, allora anche noi laici ce ne andiamo. Se non ci lasciate, restiamo anche noi”. Ed è così, restano tutti lì. Anche alcuni fra quelli che erano partiti all’inizio della guerra, quando la situazione era molto incerta e difficile, ora sono tornati. La maggior parte di loro è tornata nei luoghi in cui presta servizio».
Spaccati di realtà
Durante gli undici giorni della sua visita il superiore dei vincenziani ha incontrato tanta gente, ha visto i loro occhi e ha ascoltato le loro storie – quello che di solito non si vede nelle immagini che propongono i media fuori dall’Ucraina. «Nei telegiornali – osserva – si parla di combattimenti tra russi e ucraini, dei numeri, dei diversi incontri a livello internazionale ed europeo, si vedono edifici distrutti… ma non c’è la possibilità di ascoltare le persone che raccontano le loro storie, le sofferenze, le perdite di molti figli e figlie, degli uomini che stanno combattendo. O le famiglie la cui casa è stata colpita da un drone o da qualche altro tipo di arma. O il dolore, le conseguenze psicologiche con cui la gente deve fare i conti… Questo è ciò che invece ho sentito da loro».
Il prezzo per l’identità
Padre Tomaž ha compreso anche quale senso diano gli ucraini al dolore che sopportano. «La loro ragione – sostiene – è la convinzione. Dicono: “Questa è la nostra terra e se la perdiamo, perderemo la nostra identità. Chi saremo o diventeremo allora?”. Quando è iniziata l’invasione, il modo in cui è stata condotta con le migliaia di morti, i milioni di persone che hanno lasciato il Paese, tutto questo li porta a chiedersi: “E se dopo tante perdite umane anche le nostre famiglie e le generazioni a venire smarrissero chi sono? Così combattono, anche se non è affatto facile accettare di andare in prima linea. Ma credono che Gesù abbia l’ultima parola, che la verità arriverà, che la giustizia arriverà, naturalmente con un grave prezzo».
Tutta un’altra strada
Tornando dall’Ucraina il superiore dei vincenziani ha portato nel cuore tre cose che riassumono quanto detto. La prima è loro fede incrollabile «perché anche dopo tre anni di guerra, di dolore insopportabile e di sofferenza, tutti continuano a stare nei loro luoghi, continuano a pregare». La seconda è la loro apertura. «La famiglia vincenziana – sottolinea – è diventata molto più grande di prima. Per esempio, prendiamo una parrocchia a Kharkiv: si potrebbe pensare sia vuota, ma ho visto che è il contrario. All’inizio della guerra era vuota perché tutti se ne erano andati, ma poche settimane dopo il parroco è tornato e anche la gente ha cominciato a tornare. E vengono non solo i cattolici, ci vedono anche molti ortodossi o persone che non praticano alcuna fede. Grazie alla loro disponibilità ad aiutare tutti in qualsiasi necessità, la gente continua a venire e anche a pregare. La terza cosa che voglio aggiungere è quello che Papa Francesco va spesso ripetendo: la guerra non è una soluzione a nessun problema, non è mai la via della pace. C’è da fare tutta un’altra strada per arrivare alla pace».