Dopo che gli Stati uniti hanno minacciato di abbandonare la mediazione tra Russia e Ucraina, Putin ha annunciato, «per motivi umanitari», una tregua di 30 ore. Nelle prime sei ore della serata di ieri, però, secondo fonti di Kiev, la tregua pasquale sarebbe stata violata con «387 bombardamenti e 19 attacchi da parte delle forze russe» e con droni «utilizzati dai russi 290 volte». Il presidente Zelensky teme che la tregua sia «una finta». Un uomo di 58 anni è stato ucciso negli attacchi russi nella regione di Kherson (sud) un’ora dopo l’inizio dell’annunciata tregua. Se, però, nella giornata di oggi dovessero davvero tacere le armi l’Ucraina spera che possa essere l’inizio di una vera trattativa di pace.
Nessuno spiraglio, invece, per la Terra Santa. Le famiglie degli ostaggi rapiti si sono riuniti presso il kibbutz Nir Oz, al confine con la Striscia di Gaza, per lanciare un appello per i loro cari ancora prigionieri. «Sono già 561 giorni che il grido dei 59 ostaggi non viene ascoltato», si legge nel comunicato diffuso ieri. «Se non agiremo, condanneremo i vivi alla morte e non potremo più recuperare i corpi dei caduti. Chiediamo al governo: “Raggiungete un accordo che liberi subito tutti gli ostaggi in un’unica fase”».
Ma il Governo di Netanyahu non sembra disposto a negoziare. Anzi, il presidente israeliano ha dichiarato di voler sposare «l’importante visione del presidente Trump che cambierà il volto di Gaza una volta per tutte e permetterà al nostro Paese di vivere in sicurezza» che prevede l’espulsione degli abitanti dalla Striscia per «ripulire il territorio». Netanyahu ha anche affermato che accettare la tregua significherebbe mandare «un messaggio a tutti i nemici di Israele: prendendo un ostaggio israeliano, lo Stato di Israele può essere messo in ginocchio».
Una ferma condanna, intanto, è arrivata dall’’Unione Araba Ortodossa di Gerusalemme «per le azioni e le misure adottate dalla polizia israeliana contro i fedeli cristiani di varie confessioni» che si sono verificate il sabato santo. «Queste azioni», spiega la nota, «hanno incluso l’impedimento all’accesso alla Chiesa del Santo Sepolcro attraverso le porte della Città Vecchia, in particolare attraverso la Porta Nuova, e l’istituzione di decine di posti di blocco nei vicoli del Quartiere Cristiano della Città Vecchia di Gerusalemme». Tra le persone fermate anche il Nunzio in Israele, l’arcivescovo Adolfo Tito Yllana, bloccato in uscita dalla Città Vecchia e sulla strada verso la nunziatura che è sul Monte degli Ulivi. Verificato che si trattasse di un diplomatico, il nunzio è stato poi fatto passare. Nella nota degli ortodossi si protesta anche per avere visto «oggi, Sabato Santo per i cristiani di tutte le confessioni, brandire armi contro bambini dei gruppi scout, donne e anziani, oltre a spintoni, percosse e insulti fisici in una scena inaccettabile e provocatoria. Ciò che è accaduto è stata una palese violazione della libertà di culto e una violazione scandalosa di tutti gli accordi di Status Quo in vigore da secoli».