da Kyiv
Il sole risplende su piazza Indipendenza, il cuore di Kyiv, in questa mattinata di fine febbraio, facendo sciogliere la neve sui cornicioni dei palazzi e per le strade. Il freddo glaciale, dicono alcuni, è arrivato in queste ultime settimane. «Ricordo che la mattina di tre anni fa, quando è cominciata l’invasione russa, non era affatto così freddo», dice Dmytro, passeggiando nel parco della Volodymyr hill (la collina di Volodymyr) innevato dove, anni fa, il municipio di Kyiv ha eretto una statua di Dante Alighieri, come parte di una sorta di gemellaggio con la città di Firenze.
È il 24 febbraio, il terzo anniversario dell’inizio della guerra su vasta scala, in Ucraina. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e i leader di tredici Paesi occidentali si sono riuniti a Kyiv per dimostrare la loro vicinanza al presidente Zelensky e al Paese. Per gli ucraini è il giorno del ricordo, della riflessione, del dolore, del tributo ai caduti del conflitto.
Ai piedi della colonna trionfale, imponente monumento dell’Indipendenza, la piazza, ribattezzata Euromaidan nel 2014 al tempo della Rivoluzione della dignità, si è trasformata in un luogo della memoria. La gente passa lentamente, con molta compostezza, davanti al grande memoriale che, nel corso della guerra, si è venuto a formare a lato della piazza, di fronte all’Accademia nazionale di musica dell’Ucraina, cresciuto sempre di più, in modo spontaneo, nel corso degli anni. Un tappetto fitto di migliaia di bandiere giallo-azzurre, ognuna piantata per ogni soldato morto. Uno stuolo di fotografie di ogni dimensione di uomini – anche alcune donne – che hanno perso la vita in guerra. Perlopiù giovani, tanti ragazzi, ma anche uomini più anziani. Volti sorridenti, fieri, spensierati. E poi candele, fiori, poster, disegni, slogan. E bandiere dei diversi battaglioni, dell’Ucraina, anche di altri Paesi: qua e là sventolano le bandiere dell’Unione europea. I passanti si soffermano a guardare le foto, accendere un lume, dedicare una preghiera, scattare qualche selfie. Persone di tutte le età, coppie che si tengono per mano camminando lungo i sentieri tra le fotografie, genitori con i figli, soldati, tanti giovani.
Al Monastero ortodosso di San Michele con le cupole dorate, un gruppo di soldati viene accolto da un pope per una funzione religiosa all’interno della chiesa. Fuori dal monastero, un drappello di militari e alcuni civili depongono fiori davanti al cosiddetto Muro della memoria per i caduti della guerra russo-ucraina. Tanti si inginocchiano davanti alle foto dei caduti. «Sono soldati arrivati per la commemorazione di oggi a Kyiv da tutta l’Ucraina, Lviv, Odessa, altre città. Dopo questa celebrazione torneranno tutti al fronte dove combattono». A spiegare è Alex, 37 anni, il viso gioviale che lo fa sembrare molto più giovane della sua età. Viene dalla regione di Donetsk ma ora vive a Kyiv. Anche lui è un soldato. «Vado al fronte ma non combatto, non uccido nessuno», sottolinea accennando un sorriso. «Io mi occupo della ricerca dei soldati scomparsi e di quelli morti al fronte dei quali le famiglie aspettano di riavere le salme. È importante dare loro delle risposte». Alla domanda su quando finirà la guerra, resta un attimo in silenzio, allarga le braccia e dice: «Non lo sappiamo, ma la speranza è che sia entro quest’anno». E aggiunge: «Non sarà adesso, sicuramente dovremo aspettare. Ma la speranza è che, davvero, questo sia l’ultimo anniversario della guerra». Il gruppo dei soldati si allontana. Alex deve andare via con loro. Una stretta di mano calorosa. E si allontana.
Il 24 febbraio è anche la Giornata dedicata alla preghiera per tutte le confessioni religiose, come decretato dal Parlamento ucraino. I vescovi ucraini hanno chiesto che, in questa giornata, si tengano dei momenti di preghiera, di adorazione, di meditazione nelle varie parrocchie. A Fastiv, alla messa nella parrocchia dell’Esaltazione della Santa Croce, padre Mykhailo Romaniv, direttore del Centro domenicano San Martino de Porres, nell’omelia ricorda le sue tante missioni per portare aiuti umanitari nell’est, nelle terre del fronte. Racconta in particolare di un paese nella regione di Zaporizhzhia, che viene costantemente colpito da missili. «Ma quando sono andato lì io a portare aiuti non c’è stato nessun attacco. E allora la gente del posto ha cominciato a dirmi: “Per favore, resta più tempo con noi, la tua presenza è cpme una luce per noi”». È un momento molto difficile per l’Ucraina, ma i bisogni della popolazione sono enormi e urgenti, la solidarietà non deve venire meno. Padre Romaniv si rivolge ai parrocchiani: «Anche voi dovete continuare ad essere una luce per tutte le persone che vivono in questi luoghi tormentati e soffrono per qiesta guerra».