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Tra satira politica (di ritorno) e distopie, il Carnevale di Viareggio e l’arte di non prendersi troppo sul serio


Il tempo sospeso, un mondo fuori dal mondo. Non nel senso di una bolla ma di una realtà trasfigurata dalla goliardia, dalla satira anche feroce, dal riso mordace, dalla provocazione e, talvolta, anche da un’amara disillusione.

Semel in anno licet insanire, dicevano i latini, una volta all’anno è lecito impazzire. Viareggio lo fa ogni anno, da centocinquantadue anni. Si cominciò il 25 febbraio 1873, un martedì grasso, con una sfilata di carrozze ricoperte di fiori ad opera della Viareggio bene lungo la via Regia, la prima strada della città.

Il Carnevale viene “istituzionalizzato” l’anno successivo con la sfilata del martedì grasso, il 17 febbraio, in occasione della quale la Società del Carnevale chiede l’autorizzazione del sindaco per poter bruciare in piazza Vittorio Emanuele una statua di Re Carnevale ripiena di polvere pirica. Da qui in poi, è un crescendo: dal 1883 inizia l’era dei carri allegorici, che sostituiscono le carrozze fiorite; non c’è ancora la cartapesta, ma le costruzioni sono opera dei maestri dell’ascia, dei calafati, degli artigiani e sono fatte di ferro e legno.

Da fenomeno d’élite, riservato a nobili e alta borghesia che venivano a giocare al Casinò, il Carnevale diventa evento di massa, popolare (e popolaresco).

Nel 1901, la sfilata si sposta dalla via Regia al Lungomare (la passeggiata, come la chiamano qui). Nel ’21 il Carnevale è cosa serissima: ha un suo inno ufficiale (chiesero di comporlo a Giacomo Puccini ma il grande compositore, di Torre del Lago, indicò un certo Icilio Sadun) e anche una rivista che viene pubblicata ogni anno.

Negli anni Venti debutta la cartapesta come materiale principale per l’allestimento dei carri allegorici mentre nel 1931 nasce Burlamacco, la maschera ufficiale della kermesse, che i viareggini, ogni anno, espongono su tutti i balconi, nata dalla fantasia del pittore futurista Uberto Bonetti, che opera una sintesi fra gli scacchi di Arlecchino, il mantello del dottor Balanzone, i pom pon di Pierrot e il cappello di Rugantino mettendo insieme la burla e Buffalmacco, pittore fiorentino del Trecento che nelle novelle di Giovanni Boccaccio si prendeva gioco dei creduloni.

Nel 1954 la sfilata dei carii viene trasmessa in diretta Tv dalla Rai, un evento storico perché è la prima “esterna” nella storia della Tv di Stato. La regia è di Giovanni Coccorese e il commento di Bruno Ambrosi. Va benissimo. E consacra il Carnevale di Viareggio come il Carnevale d’Italia. Un primato inscalfibile, saldissimo ancora oggi. Per ragioni storiche, certo, ma non solo.

Perché chi viene a Viareggio non assiste solo a una manifestazione che l’anno scorso ha richiamato circa 900mila persone ma entra nel sentimento di un popolo. Si cala in un mood, come si dice oggi, che è poi molto di più di un mood. Cadono le barriere, si stemperano le tensioni, l’avvocato e il commercialista salgono sul carro agghindati di tutto punto per la coreografia del carro o si mascherano per partecipare a una delle tante feste che si svolgono nei rioni come quello alla darsena vicino al porto.

La seriosità bandita, la goliardia come modo di stare al mondo, lo sberleffo come arte dello stare insieme, la provocazione intelligente e dissacratoria che non conosce zone franche: la politica, la religione, i media, i social, le istituzioni, i leader del mondo.



Alcuni dei nove carri di prima categoria in gara per il Carnevale di Viareggio 2025 (courtesy Fondazione Carnevale di Viareggio)

Quando Trump, per dire, non lo conosceva ancora (quasi) nessuno, prima che vincesse le primarie nel 2015, a Viareggio gli dedicarono un carro che fece il giro del mondo. Nel 2019, durante il primo mandato, eccolo nelle fattezze di un guerriero da videogames mentre cammina sulla folla o mentre sogna di conquistare e colonizzare la Luna.

Per andare un po’ più indietro, Cossiga se la prese perché nel 1993, in piena Tangentopoli, venne raffigurato come un serpente che usciva dal basso ventre di Craxi costringendo la Fondazione a censurare il carro incriminato sulla rivista ufficiale del Carnevale di quell’anno.

Storie, bozzetti e cronache dei giornali che si possono conoscere e ammirare nella bella mostra allestita alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Lorenzo Viani” (titolo: Dalle “bambocciate” ai bozzetti del Carnevale, quattro secoli di satira illustrata, visitabile fino al’11 maggio), una storia della satira dal Seicento ad oggi ma anche una storia dell’Italia attraverso la satira e i bozzetti dei carri del Carnevale viareggino in una cavalcata che prende le mosse dagli anni a Cinquanta e arriva ai Duemila.

Unica interruzione, la guerra, dal 1941 al ‘45, e per questo i due curatori della mostra, Walter Veltroni e Roberta Martinelli, hanno chiesto ai maestri carristi di oggi di immaginare e disegnare dei bozzetti per il Carnevale di quegli anni, quando l’Europa era stretta nella morsa delle dittature e l’Italia viaggiava sull’orlo dell’abisso fino a precipitarvi definitivamente.

Nei Cinquanta la lenta rinascita, i Sessanta del boom economico, lievi e spensierati, i Settanta della contestazione nelle piazze con i carri che prendono di mira il compromesso storico, la crisi petrolifera, la lira svalutata, con un Re Carnevale sbrindellato come il Belpaese.

Poi arrivano gli Ottanta di Craxi, ora raffigurato come superman, ora come leader coraggioso, pure troppo (la testa si gira e spunta quella del Duce). E Craxi a Viareggio ci va, non se la prende, si accomoda in tribuna vip e chiosa: «Al Carnevale ci sono abituato, vivo una specie di Carnevale permanente qual è la vita politica italiana. L’unica cosa che non sopporto sono i fez di Forattini».

Seguono i Novanta di Tangentopoli che spazza via la Prima Repubblica con Di Pietro raffigurato come un esorcista con la Costituzione in una mano e le manette nell’altra e i leader dei partiti come vampiri che con la corruzione succhiano il sangue degli italiani.

La satira, negli anni, si è sbiadita fino a scomparire (quasi) del tutto, anche se quest’anno è tornata come tema del Carnevale e di tutti gli eventi che lo caratterizzano.

Colpa dei politici (anche), quasi impossibile oggi da satireggiare, tra gaffe a mezzo social ed esternazioni a getto continuo su la qualunque.

Ecco, dunque, che la politica lascia il posto al personale, al sociale, alle ansie e ai drammi dei nostri tempi, dai bambini vittime sacrificali delle guerre alla questione ecologica, fino ai social che ci martellano il cervello e ci rendono sempre più soli, mentre il tempo ci sfugge (è il tema del carro “È tardi è tardi è tardi” di Matteo Raciti).

Quest’anno nei carri e nelle mascherate di gruppo c’è molta fiaba, alcune distonie come il carro “Sic transit gloria mundi!” che mette in scena un fantomatico conclave che si conclude con l’elezione di una papessa, a dar conto del dibattito in corso sul ruolo delle donne nella chiesa.

C’è, di ritorno, la satira politica come il carro di Avanzini “Per una sana e robusta costituzione” dove si prende di mira la premier Meloni e la sua riforma del premierato mentre Silvio Berlusconi, dall’alto, “veglia” compiaciuto e sornione sulle vicende politiche italiane .



Un altro carro durante uno dei corsi mascherati di quest’anno (ph courtesy Fondazione Carnevale di Viareggio)

La gara tra i carri è importantissima, stimola la fantasia dei carristi, rilancia discussioni infinite su chi è stato il più bravo e alla fine del Carnevale, al momento della proclamazione dei vincitori, come racconta la presidente della Fondazione, Maria Lina Marcucci, «non è raro sentire fischi di disapprovazione perché qualcuno è scontento del verdetto».

Quest’anno le opere in concorso sono in totale 29: 9 carri di prima categoria, i più mastodontici, 4 carri di seconda, 8 mascherate di gruppo e 8 maschere isolate.

È una festa trasversale e intergenerazionale perché coinvolge tutti, adulti e ragazzi, padri e figli, nonni e nipoti (nel 2022, per dire, c’era un Achille Lauro gigante con il cappello da Papa).

I bambini (sono 1 su 4, spiegano dalla Fondazione) sono in fila davanti allo stand della Kinder, unico spazio d’intrattenimento dedicato esclusivamente ai bambini, per fare il gioco della Pentolaccia, “declinata” tutta al cioccolato. Il brand collabora con la Fondazione del Carnevale dal 2019 condividendone lo stesso spirito, al servizio dei ragazzi e delle loro famiglie.

Assistere al corso mascherato (così si chiamano le sei sfilate programmate ogni anno) non basta. Per capire cos’è il Carnevale a Viareggio bisogna andare alla “cittadella del Carnevale” (inaugurata nel 2001), alla periferia della città, dove negli enormi hangar, a partire dall’estate precedente, si lavora ai carri i cui bozzetti vengono approvati a luglio da un’apposita commissione tecnica. Ci vogliono 6 mesi per costruirne uno e comporta, tra le varie cose, l’utilizzo di una tonnellata di carta di giornali per la cartapesta, 80 litri di colla al giorno, acciaio e ferro per la spina dorsale, cuciture a mano, tempere, acrilico, vetrificante e pistoni meccanici per i movimenti più estremi come, ad esempio, quello di una ballerina gigantesca che si cambia d’abito durante la sfilata nel carro “Come tu mi vuoi”.

Nel Museo storico, invece, ci si può fare un’idea – tra amarcord, manifesti e foto d’epoca – della lunga storia di questa festa-istituzione che mischia tecnologie, temi futuristici e fiabe, funi e carrucole ottocentesche con schermi tecnologici (come quello del carro “Social” di quest’anno, opera di Massimo e Alessandro Breschi).

In questi giorni, Viareggio sembra il set di un film di Fellini mischiato con Philip Dick e Steven Spielberg. Ma il Carnevale, da queste parti, è anche un gigantesco insegnamento, quello di non confondere la serietà con l’ostentazione seriosa, il pudore con l’esagerazione e non accorgersi dei danni che può fare non coltivare un sano senso del ridicolo.



Il carro dedicato a Maria De Filippi e lo stand della Kinder (ph courtesy Fondazione Carnevale di Viareggio)





Dal sito Famiglia Cristiana

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