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Terremoto Myanmar – Famiglia Cristiana


Sagaing, la città del Myanmar epicentro del terremoto dello scorso venerdì èspezzata due volte. Un boato sordo, la terra che trema, gli edifici che si sgretolano come sabbia. In pochi istanti è diventata un cumulo di macerie. Il terremoto di magnitudo 7.7 che ha colpito il Paese ha lasciato una scia di distruzione, ma per la popolazione già provata da quattro anni di guerra civile, la catastrofe naturale è solo l’ennesima ferita aperta. Qui, dove la resistenza ribelle si oppone al regime militare, gli aiuti tardano ad arrivare, bloccati ai posti di controllo governativi. I primi soccorritori sono arrivati soltanto lunedì per volere della giunta golpista che ha preso il potere deponendo il governo democratico nel febbraio del 2021. Mentre Naypyidaw e Mandalay ricevono i primi soccorsi, Sagaing attende, dimenticata dalla giunta militare che ne ostacola l’accesso.


Aiutateci a non morire

Il cardinale Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, ha lanciato un grido disperato per fermare gli scontri tra militari golpisti e le forze di opposizione, attraverso Vatican News: «Ho fatto un appello sincero per un cessate il fuoco da parte di tutti i gruppi. Il nostro popolo ha bisogno di aiuto, senza ostacoli». Le sue parole riecheggiano nel silenzio assordante lasciato dal sisma, mentre le linee telefoniche restano mute e le immagini della devastazione iniziano a diffondersi. Tra i primi a raccontare l’orrore ci sono le missionarie delle Ancelle Missionarie del SS.mo Sacramento. «Abbiamo avuto un terremoto molto forte. La chiesa è crollata. Dopo tanti mesi di lavoro per restaurarla, ora non c’è più», dice suor Pansy in un messaggio interrotto dalla paura e dall’incertezza.

Un popolo senza casa, senza cibo, senza futuro

  

Da quattro anni la guerra civile ha costretto migliaia di persone alla fuga. Suor Rosanna Favero racconta di un esodo forzato: «Nel novembre 2023, il nostro convento e la scuola che accoglieva oltre 70 bambine sono stati bombardati. Abbiamo dovuto abbandonare tutto, fuggire tra le montagne, cercare rifugio nei campi profughi. La guerra ha chiuso scuole, interrotto cure mediche, privato il popolo della libertà e della sicurezza». Ora, il terremoto ha inferto un colpo ancora più duro. «Dove troveremo riso, acqua, beni di prima necessità, ora che le strade sono distrutte, i ponti crollati e i depositi di riso ridotti in macerie»? si chiede ancora suor Pansy. Il bisogno più urgente resta il cibo: «Le poche risorse disponibili saranno come gocce d’acqua in un terreno assetato».


L’ostinata resistenza della speranza

Eppure, anche tra le macerie, la speranza non si spegne. Le missionarie non si sono arrese: hanno continuato a educare i bambini nei campi, a distribuire viveri, a coltivare ortaggi e allevare animali per garantire la sopravvivenza. «Abbiamo avviato coltivazioni di arachidi, mais e funghi, ma il terremoto ha distrutto tutto». Eppure, si continua a lottare: «Vogliamo ricominciare, creare scuole, insegnare un mestiere alle donne, dare ai giovani un’opportunità». Anche senza elettricità e acqua, come racconta suor Emi Soe da Nyaung Shwe: «Andiamo a prendere l’acqua dal pozzo dei vicini, ma ci hanno detto che non durerà a lungo. Anche per questo ci affidiamo al Signore».

Quando i riflettori si spegneranno?

  

Oggi il mondo intero parla del Myanmar. Ma domani? Quando il terremoto non farà più notizia, il popolo birmano continuerà a soffrire, schiacciato da una guerra silenziosa e dalla mancata volontà politica di aiutare i più deboli. «Avevamo solo quel luogo per pregare». 



«Ora abbiamo perso anche quello», hanno detto alcuni sfollati di Howan al confine con la Thailandia – anch’essa duramente colpita dal terremoto con la conta dei morti in continuo aumento -, davanti alla chiesa distrutta. Ma la loro fede non si spegne. La loro voce chiede di non essere dimenticata. La speranza, tra le macerie, resiste ancora.





Dal sito Famiglia Cristiana

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