Nuova Delhi ha convocato una riunione d’emergenza per valutare la situazione nella regione contesa, mentre crescono i timori di nuove violenze. La piccola comunità cattolica locale intanto prosegue nel tentativo di favorire una mediazione e proseguire il processo di riconciliaizone
Paolo Affatato – Città del Vaticano
Il 22 aprile un gruppo di ribelli armati ha fatto strage di turisti nella pittoresca località turistica di Pahalgam, nel Kashmir indiano, uccidendo 28 persone e alimentando i timori di un’escalation tra India e Pakistan da 70 anni in disputa per la regione contesa. L’attacco, il più grave dal 2000 per il numero di vittime, è avvenuto nel pieno della stagione turistica, che vede migliaia di turisti, soprattutto indiani, recarsi nella regione, che resta attraversata dalla ribellione armata.
Modi convoca un summit di emergenza
Il ministro degli interni indiano Amit Shah, insieme con i massimi vertici della sicurezza nazionale, è giunto in Kashmir e il primo ministro indiano Narendra Modi ha interrotto la sua visita in Arabia Saudita per tornare a New Delhi e presiedere un summit di emergenza. Pahalgam, che in lingua kashmiri significa “valle dei pastori”, è una località verdeggiante nota come “mini-svizzera”, una delle destinazioni turistiche più visitate della regione, situata a circa 50 km dalla città principale, Rinagar. Gli aggressori hanno aperto il fuoco indiscriminato su un prato affollato di turisti, colti di sorpresa dall’improvvisa raffica di proiettili. I turisti uccisi erano quasi tutti civili indiani, al di fuori di un cittadino nepalese.
La rivendicazione
Una dichiarazione rilasciata dal Fronte di Resistenza – ritenuto una branca del gruppo terrorista Lashkar-e-Taiba, con sede in Pakistan – ha rivendicato la responsabilità dell’attacco. Secondo gli esperti la risposta del governo potrebbe includere una forma di ritorsione contro il Pakistan. “Questo è un atto di guerra”, ha asserito Tara Kartha, direttrice del Centre for Land Warfare Studies, un think-tank con sede a Nuova Delhi. “Solo se il Pakistan condannerà l’attacco con la massima fermezza e prometterà di agire tempestivamente contro i terroristi, si eviterà una grave crisi”.
Una regione contesa da sempre
La tensione, che era stata congelata nella regione contesa dopo che Pakistan e India hanno stabilito un confine provvisorio noto come “linea di controllo”, è tornata a salire negli ultimi anni da quando, nel 2019, il governo indiano ha revocato lo status dell’autonomia al Kashmir, trasformandolo in territorio federale. La mossa ha intensificato le tensioni politiche nella regione e ha aperto la strada al rilascio di permessi di soggiorno ai non kashmiri, precedentemente vietati. La regione nell’India nordoccidentale è l’unico stato indiano a maggioranza musulmana (il 68% di fedeli all’islam, su una popolazione locale di 14,5 milioni di abitanti). Con l’amministrazione diretta del governo federale, tramite un rappresentante dell’esecutivo, è cresciuto il malcontento tra la popolazione locale. Questo ha aumentato l’instabilità interna e i rischi di radicalizzazione violenta, specialmente tra i giovani, in un’area in cui i gruppi estremisti già in passato hanno organizzato attentati. Nell’area, dalla metà degli anni Ottanta a oggi, la guerriglia pakistana e la repressione indiana hanno causato più di 40mila morti, riportano fonti ufficiali.
Cattolici impegnati nella mediazione
Il territorio del Kashmir è conteso tra India e Pakistan già dal tempo immediatamente successivo all’indipendenza dall’impero britannico: la prima guerra indo-pakistana scoppiò nel 1947-1948, e seguirono altre due guerre (nel 1965 e poi nel 1971) fra le due nazioni in relazione al controllo del Kashmir. Nello stato esiste anche una piccola comunità cattolica, la diocesi indiana di Jammu-Srinagar, con settemila fedeli: è una comunità impegnata, soprattutto tramite l’opera di istruzione, in un delicato missione di mediazione e riconciliazione sociale e culturale.