Alla manifestazione per l’Europa di sabato 15 marzo a Roma c’era anche lei: suor Nadia Bonaldo, 65 anni, che ha marciato con la bandiera della pace insieme alla folla dei 50 mila. Il selfie che ha scattato in quell’occasione, postato su Facebook, ha suscitato reazioni contrastanti: da “Brava Nadia” a “Ma appoggiate il riarmo?”. Eppure la presenza cattolica all’evento è stata forte: in piazza erano rappresentate molte realtà, tra associazioni e movimenti. Da Azione Cattolica ad Agesci (Associazione Guide e Scout Cattolici Italiani), dalla Comunità di Sant’Egidio a Comunione e Liberazione. Ma una suora che sfila in corteo accende la curiosità e i commenti non si sprecano: accanto a migliaia di manifestanti con in mano il manifesto di Ventotene, testo fondante del federalismo, che cosa ci faceva una suora paolina in compagnia di alcune sorelle? Ecco che cosa ci ha risposto.
Suor Nadia, come mai era in piazza alla manifestazione del 15 marzo?
Mi trovavo in zona con alcune mie sorelle, venute da tutto il mondo (Bolivia, Camerun) e ci siamo unite alla folla. Comunque, anche se fossi stata sola, avrei partecipato ugualmente. Perché per noi paoline frequentare le piazze è quasi un dovere.
In che senso un dovere?
Nel senso che è importantissimo stare in mezzo alla gente: è nelle piazze che possiamo ascoltare, capire, parlare e confrontarci con le persone, soprattutto con chi la pensa diversamente da noi. Anche se non condividi un pensiero, non è una buona ragione per non partecipare, per non esserci.
La sua presenza in quell’occasione però ha suscitato reazioni ostili sui social…
È il rischio che comporta la libertà di espressione, della quale fortunatamente godiamo in questo Paese. Ma non ha importanza, io rispetto il pensiero di tutti e non voglio alimentare la polemica. Una suora a una manifestazione per l’Europa è parsa fuori luogo? E perché mai? È proprio lì che noi suore dobbiamo esserci. Girando per Roma quel pomeriggio sono entrata in diverse chiese: tutte deserte. Quindi mi sono detta: è nelle piazze, dove la gente vive, soffre e lotta per i propri diritti che devo esserci.
Come hanno reagito le persone accanto a lei?
Molto bene, io ero in borghese quindi nessuno avrebbe capito che sono una suora, ma le mie sorelle portavano il velo e quindi siamo state notate. La gente però era piacevolmente colpita dal fatto che anche delle religiose partecipassero all’evento. Nell’immaginario comune dovremmo trascorrere le nostre giornate chiuse in chiesa a pregare, lontane dai problemi della gente, ma la nostra preghiera è molto più efficace se camminiamo insieme agli altri e parliamo con loro.
Perché ha scelto di sfilare in corteo per l’Europa?
Sono scesa in piazza anche io perché voglio un’Europa unita, non un insieme di Stati che agiscono ciascuno per contro proprio. Un’Europa in grado di salvaguardare i valori della democrazia e della libertà. Questa è la prima motivazione, ma non è la sola.
Quale altra ragione l’ha spinta in piazza?
La più forte di tutte, il desiderio di pace. La mia generazione non ha vissuto la guerra in prima persona e ha beneficiato del boom economico e di conquiste raggiunte da chi è venuto prima di noi, come la libertà di dire ciò che pensiamo. Sono valori altissimi che ora diamo per scontati ma che a tanti sono costati la vita. Quindi vorrei lottare anche io per una Europa libera e pacifica, un’Europa solidale, espressione di queste conquiste. Un’Europa davvero inclusiva, attenta anche alle frange più vulnerabili.
Alla manifestazione hanno preso parte molte realtà cattoliche, associazioni, movimenti…
Sì, la presenza cattolica era molto forte. È stato un avvenimento trasversale, con molte anime che marciavano insieme. Per questo non mi sono sentita affatto fuori luogo. Anche se alcuni l’hanno interpretato addirittura come un gesto in favore del riarmo.
Che cosa risponde a queste critiche?
Rispetto chi la pensa diversamente ma forse giudica in maniera superficiale. Dobbiamo ripudiare la guerra con tutte le nostre forze, focalizzandoci invece sulla vera forza da potenziare nelle relazioni tra i Paesi: la diplomazia. Ad armarsi si fa presto, invece per tessere i fili del dialogo tra le Nazioni ci vuole tempo e abilità. E su questo fronte c’è ancora molto da lavorare.
Allude alla nostra classe politica?
Alludo al fatto che bisognerebbe istruire le nuove generazioni con delle vere e proprie scuole di politica, nel senso greco del termine. Per formare persone in grado di agire per il bene comune, nell’interesse di tutti. Anche nella cultura cristiana abbiamo degli esempi a cui rifarci, basti pensare per esempio alle scuole avviate dai gesuiti Bartolomeo Sorge, Ennio Pintacuda, Francesco Occhetta e da laici come Enrico Letta. Oggi forse è questa la scintilla che manca. Credo che per costruire la pace sia da lì che bisogna partire, dalla diplomazia.
E Gesù potrebbe essere considerato un maestro di diplomazia?
Gesù frequentava le strade, questo è certo. Ai giorni nostri avrebbe manifestato in molte occasioni. D’altronde basti pensare ai discepoli che aveva scelto: così lontani da lui, dal suo pensiero e così diversi tra loro. Oggi probabilmente si sarebbe fatto invitare a cena dai mafiosi (ricordiamo Zaccheo, il capo dei pubblicani), perché è per i peccatori che Lui è venuto, non per salvare i giusti. Quindi dobbiamo stare attenti: alimentando le divisioni tra i popoli non facciamo altro che dimostrare che i farisei siamo proprio noi. Questo è il messaggio di Gesù, talmente rivoluzionario da essere rimasto ancora in parte incompreso.
Se fosse vissuto ai giorni nostri sarebbe stato un europeista?
Più che europeista, direi “mondialista”: il primo termine sarebbe stato un po’ riduttivo per Lui.