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Suicidi per colpa del bullismo: la storia di Andrea Spezzacatena in un film, e a Carolina Picchio è intitolata una scuola


Ci sono morti che per quanto assurde, dolorose, strazianti, innescano poi un movimento generativo fatto di consapevolezze e azioni  che cadono a pioggia, migliorandola, sulla  vita di migliaia di persone. È stato così anche per Carolina Picchio, che non aveva ancora 15 anni quando, il 5 gennaio 2013, oppressa dalla vergogna per alcune foto che le erano state scattate da dei coetanei in un momento di scarsa lucidità e fatte girare in rete, si era tolta la vita lanciandosi nel vuoto. Nessuno ancora conosceva la parola cyberbullismo, ma da quella morte e dalla infaticabile azione del padre Paolo, in nome di Carolina Picchio nel 2018 è nata una Fondazione che fa progetti  educativi sull’uso della rete rivolti ai giovani, e la legge 71 del 2017 a tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. E ora una scuola ha scelto di intitolarsi a lei.

Paolo Picchio e la preside Pia Giuseppe Falcone


Paolo Picchio e la preside Pia Giuseppe Falcone



Venerdì 20 settembre, alla presenza di tutte le maggiori cariche istituzionali di Torino, salutata dai messaggi del presidente della Repubblica Sergio Mattarella e del ministro all’Istruzione e al merito Valditara, si è svolta una cerimonia pubblica per l’intitolazione a Carolina Picchio dell’Istituto comprensivo della periferia torinese di via Sidoli: tre scuole dell’infanzia, due primarie e una secondaria di primo grado in cui complessivamente l’utenza per il 70 per cento ha origini straniere. Un istituto che da anni porta avanti progetti educativi volti all’inclusione, al dialogo, all’ascolto e alla condivisione. Come l’istituto è arrivato a questa intitolazione ce lo spiega la dirigente, Pia Giuseppina Falcone: «Siamo entrati in contatto con la Fondazione Carolina attraverso un bando destinato alle scuole, dal titolo Social generation, che abbiamo vinto. È nata quindi una collaborazione tra pubblico e privato e, successivamente, l’idea che quello di Carolina Picchio potesse essere il nuovo nome per la nostra scuola. Ma volevamo che fosse il risultato di una scelta condivisa e consapevoli da parte di tutti  gli studenti. Quindi, dopo aver spiegato a bambini e ragazzi chi fosse quella ragazza scomparsa prematuramente e i rischi gravissimi del cyberbullismo, abbiamo inserito il suo nome in una rosa di candidati. Siamo arrivati al ballottaggio con il nome di Piero Angela: tutti gli studenti,  per alzata di mano o simulando una vera e propria elezione con tanto di scheda e urna, hanno votato, e ha vinto il nome di Carolina Picchio».

Che tutta la comunità scolastica sia consapevole del messaggio che c’è dietro questa intitolazione lo testimoniano le dichiarazioni dei bambini. Dice Lorenzo, 10 anni: «Il cyberbullismo è una forma di bullismo sia fisico sia psicologico ed è stata proprio Carolina a indicare in una lettera di addio al papà i nomi delle persone che l’hanno bullizzata con la speranza che la sua morte potesse servire a qualcosa. Essere qui a fare una cosa così importante mi dà un sacco di gioia nel cuore e in tutto quanto il corpo». Gli fa eco la coetanea Gaia: «Carolina è sempre nei nostri cuori e le vogliamo bene». I bambini  e i ragazzi, che hanno assistito all’inaugurazione del nuovo logo della scuola, ideato da loro stessi, hanno avuto un sincero slancio di affetto per Paolo Picchio, che, dopo il suo intervento commosso  («Carolina era la mia ragione di vita, trasformare il dolore in una missione me la fa sentire più vicina, spero che adesso sarete tutti più sensibili attenti alle parole che pronunciate…»)  ha distribuito sorrisi e stretto le mani dei ragazzi che gli si affollavano attorno. 

Una scuola così attenta ai cambiamenti della società  da un lato si è attrezzata per  fornire agli alunni gli strumenti tecnologici e una adeguata formazione per usarli correttamente, dall’altra cerca di arginare la pervasività della tecnologia nella vita dei ragazzi, che, come dimostrano gli allarmi di psicologi e insegnanti, confermati da ricerche specifiche incide sulla loro dimensione cognitiva ed emotiva. «Quello che deve fare  la scuola, il luogo dove i ragazzi trascorrono la maggior parte del tempo», spiega Valentina Benedetti, vicepreside, «è offrire una pluralità di stimoli alternativi all’uso dello smartphone. Per esempio, il pomeriggio la scuola organizza corsi di educazione motoria; portiamo avanti progetti di educazione alla lettura favorendo anche l’incontro tra bambini e ragazzi con gli autori; e in un quartiere come quello di Mirafiori, dove i ragazzi possono ritrovarsi solo al parchetto,  collaboriamo con una cascina per la realizzazione di eventi culturali rivolti ai giovani e alle famiglie».

Una delle pubblicazioni educative di Fondazione Carolina realizzata insieme a Lego per diffondere nelle scuole il benessere digitale


Una delle pubblicazioni educative di Fondazione Carolina realizzata insieme a Lego per diffondere nelle scuole il benessere digitale

Se smartphone significa spesso isolamento e difficoltà a comunicare le proprie emozioni, ecco che la scuola introduce un antidoto: Esci dall’angolo, che è letteralmente un corner colorato e accogliente dell’atrio, realizzato grazie al sostegno dell’agenzia di lavoro Synergie Italia, dove sono stati sistemati tavolini e poltroncine in cui i ragazzi possono trovarsi per parlare tra di loro o con un docente. E ancora esiste il Gruppo noi, dove alcuni docenti si incontrano periodicamente con ragazzi di varie classi per capire se si stanno verificando dei fenomeni di bullismo e trovare insieme delle strategie per affrontarli. «Anche in una scuola attenta come la nostra c’è un’attenzione particolare all’uso eccessivo dei cellulari», precisa la dirigente Falcone, «che ha ripercussioni sia sul piano cognitivo, indebolendo alcune funzioni del cervello, sia sulle relazioni. Lo smartphone è come una propaggine del corpo dei ragazzi e, malgrado il divieto di usarlo se non per motivi didattici o comunque autorizzati, a volte si verificano degli abusi. In quei casi scattano i provvedimenti: prima di tutto parliamo con i ragazzi e avvisiamo le famiglie. E anche se dobbiamo ricorrere a sanzioni vogliamo che abbiano sempre un risvolto educativo. L’ipotesi di vietare gli smartphone fino a 14 anni  non mi trova d’accordo: il divieto deve essere l’ultima spiaggia, occorre un’educazione che porti a interiorizzare le regole e a non viverle come un’imposizione. Questi strumenti sono imprescindibili ormai, e a scuola dobbiamo insegnare loro a usarli consapevolmente». 
 




Gli studenti dell’istituto Carolina Picchio sanno che lo smartphone a scuola è off limits e deve restare rigorosamente spento dentro lo zaino. E, almeno quelli che abbiamo incontrato, sembrano consapevoli che il cellulare  non debba essere al centro del loro mondo. Elisabetta, II media, ci racconta: «Quando i miei genitori mi hanno regalato lo smartphone  prima che iniziassi le medie, si sono raccomandati di usarlo poco e di non trascurare lo studio. Solo quest’anno abbiamo creato una chat di classe: è utile per aggiornare sulle lezioni i compagni malati o avere chiarimenti sui compiti. Per il resto non posto nulla sui social, le miei amicizie sono reali, uso WhatsApp per metterci d’accordo quando dobbiamo vederci, e fra allenamenti e partite di volley sono sempre impegnata. L’unica concessione al virtuale è un videogame con cui gioco in collegamento online con un amico». Anche Christian, 12 anni, lo smartphone lo usa poco: «Fra scuola, attività pomeridiane e allenamenti di calcio a volte esco al mattino e torno alle 19. E ci sono anche dei compagni che ancora non ce l’hanno perché i genitori sono contrari. Non mi sento attratto neppure dalla I. A.: preferisco creare con il mio cervello». 
 





Dal sito Famiglia Cristiana

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