A due anni esatti dall’inizio del conflitto con l’esercito regolare, i paramilitari hanno reso nota l’istituzione di un esecutivo parallelo rispetto a quello in carica. Mentre nel paese imperversa una delle più gravi crisi umanitarie della storia, i ministri degli esteri del G7 chiedono che si arrivi a una tregua
Paola Simonetti – Città del Vaticano
“Un’ampia coalizione che rifletta il vero volto del Sudan”. Con questo intento i vertici delle Forze di Supporto Rapido hanno annunciato, nelle ultime ore, la nascita di un esecutivo alternativo al governo al momento in carica in Sudan. L’iniziativa a due anni esatti dallo scoppio del violentissimo conflitto dei paramilitari contro l’esercito regolare, parti che si contendono il potere nel Paese dall’aprile del 2023, con le Rsf che controllano al momento buona parte del Darfur, nell’ovest del paese, dove si stanno concentrando gli scontri, mentre l’esercito ha fatto progressi nella capitale Khartum, dopo un faticoso avanzamento sul territorio.
La disperata situazione umanitaria
La guerra in corso ha già provocato decine di migliaia di morti, la stima è che siano almeno 150 mila, ma l’inaccessibilità di alcuni territori del paese ha reso impossibile fornire una cifra esatta e verificata delle vittime. Si calcola che siano 13 milioni gli sfollati, più di 3 milioni i profughi oltre confine, nel quadro di una spaventosa carenza di cibo che ha affamato metà della popolazione sudanese, in quella che è stata definita una delle più gravi crisi umanitarie al mondo.
La condanna del G7
Lo scenario sudanese è stato uno dei temi su cui si è concentrata l’attenzione dei ministri degli Esteri del G7 che hanno diffuso una dichiarazione congiunta per condannare le atrocità e le gravi violazioni dei diritti umani in corso nel Paese africano, tra cui la diffusa arma della violenza sessuale, gli attacchi a sfondo etnico e le uccisioni per ritorsione. “Tutto ciò deve cessare immediatamente”, si legge nella dichiarazione che sottolinea: “I civili devono essere protetti e poter avere libero e sicuro accesso ai corridoi umanitari”.