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Storia di Mazen al-Hamada, martire nelle carceri di Assad

“Lunedì 9 dicembre 2024 è comparso un cadavere che assomiglia chiaramente all volto di Mazen al-Hamada”. Così il profilo Instagram di Syrian Revolution Archive ha annunciato al mondo la morte del più famoso degli attivisti siriani impegnati am combattere il regime sanguinario di Bashir al-Assad. Il suo corpo è stato ritrovato nel “mattatoio umano” di Sednaya, la famigerata prigione in cui venivano rinchiusi gli oppositori del regime. Sul cadavere di Mazen erano evidenti i segni delle torture dalla quale era riuscito a fuggire per raccontare a tutto il mondo il lato più oscuro del ‘sistema’ del rais siriano.

Nato a Deir Ezzor, nel nord-est della Siria, nel 1978, Al-Hamada aveva 33 anni quando è iniziata la rivolta contro Assad nel 2011. “In Siria sono stato uno dei fondatori del movimento di protesta”, ha dichiarato in un’intervista. Figlio minore di una famiglia numerosa, lavorava come tecnico per la multinazionale del petrolio e del gas Schlumberger. Hamada ha ripreso con la sua telecamera alcune delle prime manifestazioni contro Assad, condividendo le immagini  sui social media.   

La risposta del regime di Assad non si è fatta attendere. Il 24 marzo 2011, Hamada è stato arrestato dai servizi di sicurezza e imprigionato per due settimane. Tornato libero, non è mai stato perso di vista dal famigerato mukhabarat, i servizi di controllo e repressione governativi. Nel marzo 2012, gli agenti di sicurezza lo hanno prelevato da un bar di Damasco e lo hanno portato alla sezione di intelligence dell’aeronautica dell’aeroporto militare di al-Mezzeh. Trasferito al vicino ospedale militare 601, Hamada ha raccontato di aver visto corpi ammassati nei bagni. Altri detenuti sono stati uccisi davanti a lui, apparentemente a caso.

Dopo essere stato testimone di questo orrore, Hamada è stato liberato da un giudice nel settembre 2013 e ha lasciato il Paese insieme a milioni di siriani partiti per la Turchia, il Libano o l’Europa. Nel 2014 ha attraversato il Mediterraneo verso la Turchia, raggiungendo infine i Paesi Bassi, dove ha presentato domanda di asilo. In  Europa  ha iniziato la sua campagna per richiamare l’attenzione sui crimini del regime di Assad. Per anni ha viaggiato raccontando gli orrori a cui ha assistito e che ha sopportato: abusi sessuali, scosse elettriche, e come venne appeso al soffitto con catene che gli hanno lasciato solchi nei polsi. E’ stato picchiato, torturato dalle guardie che gli hanno rotto le costole saltandogli addosso, bruciato con mozziconi di sigaretta.

Hamada ha avuto anche un ruolo centrale nel film della documentarista Sara  Afshar del 2017 (Gli scomparsi in Siria: Il caso contro Assad) che ha documentato le decine di migliaia di siriani detenuti, torturati e spesso uccisi nelle prigioni del governo.

Hamada, sempre più a disagio in Europa, polemico verso le autorità olandesi, con preoccupanti segni di instabilità mentale,  ha scelto di tornare in Siria nel febbraio del 2020, convinto che sarebbe stato più utile in patria che in esilio. Disse di aver avuto garanzie di non essere nella lista dei ricercati del governo. È scomparso non appena il suo aereo è atterrato a Damasco. Di lui non si è saputo più nulla fino al ritrovamento del cadavere.





Dal sito Famiglia Cristiana

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