Condivido pienamente le parole del Ministro dell’Università e della Ricerca, Annamaria Bernini: “Valorizziamo vocazioni e merito degli studenti”, pronunciate all’indomani della legge che abolisce i test di ingresso per l’accesso alle facoltà di Medicina, Odontoiatria e Veterinaria. Ma questa riforma rappresenta davvero un cambiamento? Sarà davvero la strada per rivedere le politiche di accesso ai corsi a numero chiuso con criteri che, come dichiarato dal Ministro, “valorizzino” vocazioni e merito? Le risposte a questi interrogativi potrebbero arrivare con i decreti attuativi del governo, che definiranno in modo preciso quali e quanti aspiranti medici, alla fine del primo semestre di studi, potranno proseguire il loro percorso. Solo allora sapremo con quale media e con quali esami sarà possibile accedere definitivamente al corso di Medicina e Chirurgia.
Per il momento, sappiamo solo che non ci saranno più i test di ingresso e che, di conseguenza, non sarà più necessario ricorrere ai corsi di preparazione. Corsi che, peraltro, hanno generato un giro d’affari significativo, con costi elevati che non tutti potevano permettersi. Di fatto, lo sbarramento dopo il primo semestre valorizzerà l’impegno di molti, ma non di tutti. Se, infatti, come riportano i dati del Ministero dell’Università e della Ricerca, nei prossimi anni si prevede la formazione di 30.000 medici, rispetto ai 20.000 attuali, l’aumento di 10.000 unità rappresenta un passo avanti, ma non ancora sufficiente a soddisfare né le aspirazioni degli studenti né le necessità della sanità italiana.
Bisognerà inoltre considerare il numero di accessi alle scuole di specializzazione. Se non verranno ampliati anche i posti nelle scuole di specializzazione e le opportunità lavorative, si rischia di creare un “imbuto formativo”: più laureati in Medicina, ma senza un numero adeguato di specializzazioni disponibili o di sbocchi professionali. Senza un intervento su questo aspetto, il problema potrebbe semplicemente spostarsi più avanti nel percorso, generando frustrazione tra i giovani medici e un possibile sovraffollamento nelle fasi post-laurea. Affinché la riforma sia davvero efficace, dovrà essere accompagnata da un aumento dei posti nelle scuole di specializzazione e da un potenziamento del Sistema Sanitario Nazionale, così da garantire reali possibilità lavorative ai futuri medici. Altrimenti, più che risolvere il problema, si rischia solo di rimandarlo.