Il neuropsichiatra Stefano Vicari
Le crisi adolescenziali sono fenomeni che non possono essere più sottovalutati. Gli adulti, genitori e insegnanti, spesso sono incapaci di leggere il malessere interiore dei propri giovani. Sono sempre di più i ragazzi e le ragazze che manifestano disturbi psichici. Questi problemi poi sfociano in atti di autolesionismo, crisi depressive e disturbi alimentari. Ma cosa può fare un genitore per prevenire questo fenomeno? Come si può preservare e promuovere la salute mentale? Il neuropsichiatra infantile e neuroscienziato Stefano Vicari, da anni in prima linea nel tentativo di aiutare giovani e adulti a costruire un rapporto per evitare che la situazione degeneri, prova a dare delle risposte.
Professor Vicari quali sono i segnali di questi disturbi?
«Partiamo con un esempio: una bambina o un bambino ha un buon rendimento scolastico, fa danza, sport, esce con gli amici e sembra avere una vita serena in casa. Poi progressivamente diventa più irritabile, abbandona lo sport, i risultati scolastici peggiorano. Cambia dunque profondamente nell’umore e nel comportamento. Questi cambiamenti però devono essere stabili per settimane e mesi, perché ovviamente ognuno può avere una giornata storta. Ma quando ciò diventa stabile, negli adulti dovrebbe scattare un allarme».
Come i genitori possono riconoscere i disturbi e fare qualcosa in anticipo?
«Bisogna essere disposti a vedere e a guardare. Molto spesso i genitori sono distratti, presi dalle loro attività professionali o quant’altro e magari pur condividendo del tempo con i figli non li guardano profondamente».
A volte forse i segnali sono spesso evidenti, ma chi magari non ha l’abitudine a notarli fa fatica poi anche a interpretarli.
«Spesso i genitori, forse inconsciamente, fanno fatica a vedere perché questo li richiama ad una responsabilità. Io cerco di far riflettere i genitori su un altro tema. Questi sono disturbi complessi, non sono mai il risultato di una sola azione o di qualcosa di sbagliato che i genitori fanno. Un padre che ha una figlia anoressica, la prima cosa che mi dice è “Dove ho sbagliato?”. Non capendo che in realtà si tratta di disturbi talmente complessi e articolati da non potere essere responsabilità di un singolo soggetto. Le malattie mentali sono il risultato di un lungo percorso».

La copertina del volume in libreria dal 18 marzo
Professore lei affronta questi quesiti e tanti altri anche nel suo nuovo libro, dal titolo “Adolescenti interrotti. Intercettare il disagio prima che sia tardi”. L’opera è edita da Feltrinelli e acquistabile in libreria dal 18 marzo. Da dove nasce questo libro?
«Con i miei colleghi notavamo già da una decina d’anni un grande aumento dei disturbi mentali tra i giovani. In pronto soccorso arrivano sempre più ragazzi per motivi psichiatrici. E dopo la pandemia di Covid il fenomeno si è ancora più esasperato. La sensazione è che ci sia una scarsa attenzione al tema della salute mentale dei nostri figli. Poi c’è una scarsa sensibilità sul favorire un benessere psicologico nei nostri bambini e nei nostri adolescenti. Quindi il libro nasce non tanto per parlare di disturbi, quanto piuttosto per parlare di salute mentale. Come genitori, come insegnanti e come comunità adulta abbiamo la responsabilità di favorire la crescita delle nuove generazioni. Dobbiamo provare a comprendere quali sono gli elementi alla base della salute mentale. Parliamo spesso di alimentazione, di attività fisica e quant’altro. E forse meno ci interroghiamo su come promuovere la felicità e il nostro essere psicologico. Ecco, da qui cerco di dare elementi utili, a genitori, insegnanti e a tutti gli adulti che circondano bambini e adolescenti, per comprendere i segnali iniziali di un malessere. In modo da poter intercettare precocemente e intervenire, come dicono al sottotitolo, prima che sia troppo tardi, cioè prima che appunto arrivino al pronto soccorso».
Quindi, quando il giovane arriva al Pronto Soccorso è già in una fase di problematica avanzata?
«Sì, a quel punto la situazione è già negativa, per non dire compromessa. I ragazzi e le ragazze che arrivano da noi, sono spesso in condizioni serie. A partire dall’autolesionismo che è il primo fattore. Molti giovani si tagliano, tentano il suicidio o hanno una forte intenzionalità suicidaria. Poi ci sono anche i disturbi alimentari. L’anoressia, la bulimia, ma anche l’ARFID che è l’evitamento, la restrizione e la selezione nell’assumere il cibo. Queste situazioni sono notevolmente aumentate. Quando arriva in pronto soccorso una ragazzina in determinate condizioni ci dobbiamo chiedere e interrogare se non potevamo accorgercene prima e se abbiamo fatto qualcosa per evitare che questo accadesse. Le racconto un aneddoto che cito spesso, perché mi ha colpito profondamente».
Prego…
«Forse è uno dei motivi per cui ho scritto questo libro. Un giorno stavo visitando una ragazza. Era estate e questa ragazza indossava una felpa a maniche lunghe. Parlando con lei ho stabilito un buon livello di comunicazione. Per cui le ho detto “Scusami, ma fa così caldo, togliti la felpa se vuoi perché stai sudando”. Lei ha tolto la felpa e aveva le braccia ricoperte di cicatrici. Era una ragazza evidentemente che si tagliava regolarmente da molto tempo. La mamma, che era seduta vicino a lei, è impallidita. A quel punto la figlia l’ha guardata e ha detto una cosa terribile: “Vedi, serviva il dottore perché tu ti accorgessi di quello che io mi faccio da tempo”. Io credo che il fare qualcosa prima che sia troppo tardi in parte sia legato anche a questo. Dovremmo accorgerci di quello che succede ai nostri figli prima appunto dell’intervento di un neuropsichiatra».
Come si può favorire la salute mentale?
«Fin da quando i bambini sono piccoli si possono compiere azioni che promuovono il loro benessere. Ad esempio servirebbe lavorare sull’autonomia, aiutando i bambini a mangiare e a dormire da soli. Si è molto diffuso invece il co-sleeping, cioè i bambini dormono con i genitori fino ai 10, 11, 12 anni. Ma anche l’alimentazione al seno o l’assunzione di cibi frullati sono abitudini che perdurano per anni. Poi durante l’adolescenza invece serve stare più attenti alle varie dipendenze, come quella dai device».
Una volta certificato il problema, cosa può fare un genitore per aiutare il proprio figlio?
«La prima cosa che dico ai genitori è di non aver paura nel chiedere aiuto. Essere genitori è un compito a volte complesso, articolato, ci sono dei figli che sono più critici di altri. Rivolgersi a un operatore della salute mentale, un psicologo, un neuropsichiatra infantile, può essere un primo passaggio per ricevere un aiuto appunto a svolgere la propria funzione. Chiedere aiuto non deve essere necessariamente un elemento che crea imbarazzo o preoccupazione».
Parliamo meglio delle dipendenze: quanto influisce sulla salute mentale quella legata ai device?
«Moltissimo. Oggi i genitori regalano ai figli il telefonino per la prima comunione e ignorano che lo strumento può rappresentare un rischio per la salute mentale. Ho visitato un ragazzino di 15 anni che passa addirittura nove ore al giorno al telefono. Ciò significa che in queste nove ore questo giovane non vede gli amici, non corre sui prati, non fa sport, non legge un libro e non parla con i genitori. Tutto tempo sottratto alla crescita. In più durante quelle nove ore il bambino è chiaramente esposto a contenuti spesso non adatti alla sua età. Poi c’è il cyberbullismo, uno dei fattori più legato ai disturbi mentali. Molti giovani, specialmente le ragazze, arrivano a desiderare di voler morire perché vengono presi in giro, massacrati sulla rete e magari anche nella chat di classe in modo costante».
Come invece influisce il contesto scolastico sulla salute mentale?
«La scuola è un’agenzia educativa che insieme alla famiglia interviene fortemente sul definire chi siamo. E aiuta a capire quali sono le nostre capacità, le nostre qualità ma anche i limiti e i difetti. Man mano che cresciamo le relazioni più importanti le abbiamo con i nostri compagni di classe. E a volte l’insegnante è la persona che quando la famiglia non c’è, può intercettare vari problemi. Ma spesso non è messo nelle condizioni per farlo».