La Casa Bianca congela 2,2 miliardi di dollari di sovvenzioni alla prestigiosa università. Il supporto degli altri atenei statunitensi. La frammentazione culturale e sociale in atto negli Usa
Guglielmo Gallone – Città del Vaticano
L’università più antica e prestigiosa degli Stati Uniti non ci sta. Di fronte alla decisione dell’amministrazione Trump di subordinare i finanziamenti federali al rispetto di una serie di richieste ritenute «illegittime e incostituzionali», Harvard ha detto no. La risposta della Casa Bianca è stata immediata: congelamento di 2,2 miliardi di dollari tra fondi e contratti e una nuova minaccia da parte del presidente, ossia la revoca dello status di esenzione fiscale. «Forse Harvard dovrebbe essere tassata come un’entità politica», ha scritto Donald Trump sul social media Truth, «se continua a promuovere malattie ideologiche e filoterroriste».
La frammentazione americana
Il punto sta proprio qui: sotto un’apparente battaglia amministrativa si sta in realtà consumando un nuovo episodio della guerra culturale che da anni lacera gli Stati Uniti d’America. Al centro, la frammentazione dell’identità americana, quindi la battaglia tra conservatori e progressisti, la libertà di pensiero e il modo in cui poterla manifestare, di fatto il dialogo tra comunità apparentemente inconciliabili del Paese. Normale che simili temi si discutano nelle università, culle delle idee e del libero pensiero. Più singolare, ma altamente indicativa dello stato attuale della società americana, è invece la polarizzazione del dibattito, diventato anche scontro politico.
La posizione di Harvard
«La nostra università non rinuncerà alla propria indipendenza né ai propri diritti costituzionali», ha scritto il presidente di Harvard, Alan Garber, in una lettera alla comunità universitaria. «Le richieste dell’amministrazione rappresentano un tentativo di controllo diretto sulle condizioni intellettuali di Harvard», ha aggiunto Garber facendo riferimento alla lista di condizioni avanzate dalla Casa Bianca: dalla chiusura dei programmi su diversità, equità e inclusione (Dei) alla revisione delle ammissioni e delle assunzioni «basate sul merito», dalla sorveglianza sugli studenti stranieri all’obbligo di garantire una «diversità di opinioni» nelle facoltà.
L’appoggio delle altre università
Forte della sua storia iniziata nel 1636 con John Harvard, dell’influenza degli ex alunni tra cui figurano capi di Stato o premi Nobel e di un patrimonio economico attorno ai 53 miliardi di dollari, Harvard ha ribadito che «nessun governo, di qualunque colore politico, ha il diritto di imporre cosa insegnare, chi assumere o quali idee ammettere nei campus». A rafforzare la linea del rifiuto è inoltre arrivato il sostegno di altri atenei: la Columbia University, dopo una temporanea apertura, si è allineata ad Harvard. Stanford ha parlato di «obiezioni radicate nella tradizione americana di libertà accademica». Anche l’ex presidente Barack Obama ha lodato la scelta di Harvard come un «esempio per tutte le istituzioni». Nel frattempo, però, proseguono gli episodi di pressione: il Massachusetts Institute of Technology ha denunciato la revoca improvvisa dei visti per nove studenti stranieri, mentre altri istituti come Princeton, Brown e Cornell sono sotto revisione o già colpiti da tagli.
La linea della Casa Bianca
La Casa Bianca insiste sul «non voler finanziare istituzioni che violano il Titolo VI (il Titolo VI del Civil Rights Act del 1964 ndr) o che tollerano l’antisemitismo», ha dichiarato la portavoce Karoline Leavitt. La Casa Bianca insiste sul «non voler finanziare istituzioni che violano il Titolo vi o che tollerano l’antisemitismo», ha dichiarato la portavoce Karoline Leavitt. Le persone vicino a Trump vedono in queste università un’élite convinta di essere al di sopra della legge e chiedono dunque un cambiamento radicale dell’istruzione superiore americana. Secondo questa visione, la sinistra accademica ha trasformato le università in centri di attivismo ideologico, dove si soffoca ogni pensiero alternativo e si manifestano posizioni controverse anche su temi di politica estera, come la questione palestinese. La battaglia di Harvard si sta così trasformando nella cartolina di un Paese sempre più spaccato. Persino nelle università, dove nessuno — a livello accademico né tantomeno istituzionale — dovrebbe limitare ciò che si può dire e imparare.