Pronostico rispettato. La stanza accanto vince il Leone d’oro, Pedro Almodóvar per la prima volta si aggiudica il riconoscimento più ambito (alla Mostra di Venezia aveva ricevuto il Leone alla Carriera). Si tratta del suo primo film in lingua inglese, in cui si confronta, schierandosi a favore, con il tema dell’eutanasia. Bisogna provare a cambiare il punto di vista: in realtà racconta una storia di solitudine, di una persona malata terminale che si avvicina alla fine senza essere sostenuta. Un film sulla disperazione, sull’abbandono, non tra i migliori del maestro spagnolo, che però qui trova un’armonia tra umanità, colori e piccoli gesti, aiutato da una coppia di stelle come Julianne Moore e Tilda Swinton.
Ma è stato un giorno di festa anche per l’Italia: Vermiglio di Maura Delpero si è aggiudicato il Leone d’argento – Gran premio della giuria. Una sorpresa? Non troppo, si sapeva che sarebbe stato nel palmares. Quello di Delpero è un cinema potente, che ha raggiunto la maturità con una storia corale, quieta, che racconta di una famiglia e del suo incedere nel tempo, con sullo sfondo il conflitto mondiale.
Al Lido è stato premiato qualche eccesso, ma nell’insieme la giuria presieduta da Isabelle Huppert, dove c’era anche Giuseppe Tornatore, ha preso delle decisioni comprensibili negli intenti. Il film più bello della Mostra, The Brutalist di Brady Corbet, che rivedremo agli Oscar, è stato premiato per la regia. È l’epopea appassionante di un architetto che durante la Seconda Guerra Mondiale abbandona l’Ungheria per trasferirsi negli Stati Uniti. E iniziare a costruire un’opera impossibile, in grado di sopravvivere all’andare del tempo.
Forse a vincere qui al Lido è stata la ricerca di un’utopia tragica, straziante, che ha trovato il suo manifesto nella battuta “Qui non muore nessuno” di Campo di battaglia di Gianni Amelio. Le storie quest’anno hanno invocato il raggiungimento della pace, anche attraverso la ribellione e magari scelte poco condivisibili. Il cinema, da testimone privilegiato del nostro tempo, ha fatto sentire la sua voce. Come in Jouer avec le feu, in cui Vincent Lindon (Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile) è un padre che deve sostenere un figlio in difficoltà, vicino a gruppi di estrema destra.
È stata una Mostra che si è soffermata sulle criticità, sulla sofferenza di questi anni. Come nel bellissimo Joker: Folie à deux (poco capito, e purtroppo ignorato), che si è rivelato un lucidissimo ritratto della follia che ci circonda e della perdita progressiva della speranza. Ma il vero colpo di fulmine non era in concorso, ed è figlio della serialità. Il capolavoro è M – Il figlio del secolo di Joe Wright, con Luca Marinelli nei panni di Mussolini. È il mirabile affresco di una pagina nera della nostra Storia, è il monito funereo al pericolo di una rinascita del fascismo. Arriverà su Sky nel 2025, e potremmo lanciare una provocazione: perché non aprire il concorso dei festival più importanti anche alle serie?