Nevianonline.it
Sito ufficiale della Parrocchia Matrice San Michele Arcangelo. Neviano Lecce.

Se l’Italia fa affari con le monarchie arabe

La ragion di Stato e gli affari devono prevalere sul rispetto dei diritti umani? Dove pende la bilancia quando si tratta di trovare un compromesso tra interessi economici e principi democratici? La questione sorge a proposito dei recenti accordi tra Italia e alcuni Paesi del Golfo Persico. Oggi Mohamed bin Zayed, presidente degli Emirati arabi uniti porterà avanti il partenariato tra questo Paese e l’Italia (si parla di investimenti per 40 miliardi di dollari). Gli Emirati non sono l’unico Paese con cui il governo Meloni ha stretto accordi. Il primo è stato l’Arabia Saudita, che tra l’altro, insieme con gli Emirati, supporterà il progetto Mattei di cooperazione con le economie africane.
Anche se gli Emirati stanno facendo notevoli progressi, ci sono molte criticità a proposito dei diritti umani in questo Paese. Le autorità limitano fortemente il dissenso e la libertà dei media, controllando con rigore l’informazione e le attività online. Non essendoci un sistema politico democratico aperto, le possibilità di partecipazione politica e di critica istituzionale sono molto ristrette. Inoltre molti lavoratori stranieri, che costituiscono una parte significativa della forza lavoro, subiscono condizioni di lavoro spesso precarie, sfruttamento e mancanza di protezione giuridica adeguata.
Con l’Arabia, che ha stretto accordi per 10 miliardi di dollari, la questione è ancora più critica. Ci si chiede se era opportuno collaborare con un regime autocratico noto per la repressione delle libertà civili. Tra l’altro in passato, la Meloni aveva criticato duramente il governo di questo Paese, definendolo una “nazione fondamentalista” e sottolineando la mancanza di diritti per le donne e la presenza della pena di morte per reati come l’apostasia e l’omosessualità.  
In realtà la questione sottende un’eterna esigenza di realpolitik. La scelta di rafforzare la partnership con questa monarchia è stata giustificata dal governo come un passo necessario per garantire opportunità economiche alle imprese italiane, rafforzare la sicurezza energetica e consolidare la presenza italiana nel Medio Oriente. Con gli Emirati si firmeranno una quarantina di accordi, coinvolgendo il fior fiore delle aziende italiane pubbliche e private. In Arabia sono stati firmati accordi strategici con realtà industriali quali Leonardo, Snam e Fincantieri per partecipare alla transizione energetica saudita, con un focus sull’idrogeno verde e sulla sostenibilità. Ma c’è persino una collaborazione del Parco archeologico di Pompei su come gestire gli spazi museali e archeologici.
Gli accordi si rifletteranno sulla crescita economica del nostro Paese (di cui c’è un gran bisogno, visto che il Pil è sostanzialmente fermo). Fermo restando che l’Arabia Saudita rimane uno dei regimi più repressivi del mondo. L’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, orrendamente trucidato e fatto a pezzi, avvenuto nel consolato saudita a Istanbul nel 2018, è stato attribuito direttamente alla cerchia ristretta del principe ereditario Mohammed bin Salman. Il Paese sunnita mantiene un ruolo ambiguo anche nei dossier internazionali, a cominciare dalla guerra in Yemen.
Nonostante ciò negli ultimi anni l’Arabia ha intrapreso una massiccia operazione di “soft power”, cercando di riposizionarsi sulla scena internazionale come un attore moderno e innovativo. Come è noto anche Matteo Renzi svolse consulenze come speaker a diversi eventi gestito da organi legati al governo di Riad, tra cui il Future Investment Initiative, noto come la Davos del deserto, durante il quale arrivò a definire bin Salman artefice di un nuovo Rinascimento.
Se negli Emirati la pena di morte è solo formale (in realtà viene commutata in carcere a vita o altre pene) in Arabia si praticano ancora esecuzioni pubbliche. Dunque può un Paese che taglia la testa dei condannati nelle piazze a colpi di scimitarra e reprime il dissenso politico diventare un partner affidabile per le democrazie occidentali? Va detto che se dovessimo utilizzare il metro del rispetto dei diritti civili per stringere affari internazionali, di Paesi con cui dialogare ne resterebbero ben pochi. Anche la Repubblica popolare cinese non è certo un modello di democrazia, eppure l’Italia ne coltiva i rapporrti commerciali dai tempi di Marco Polo. E che dire dell’Iran, della Turchia, della Russia, dell’Egitto, dei Paesi del Sudest Asiatico, di Cuba, di diversi Paesi del Sudamerica, come il Venezuela o delle decine di Stati africani retti da feroci dittatori con cui intratteniamo affari? Anche l’America, da cui dipende gran parte della nostra bilancia commerciale,  pratica la pena di morte. Trump ha recentemente firmato una legge che la prevede per delitti legati al terrorismo in tutti gli stati federali.
Del resto l’Italia non è certo l’unico Paese a fare businness con l’Arabia Saudita. Pensiamo agli Stati Uniti, che intraprende relazioni dal 1933, quando la compagnia petrolifera statunitense Standard Oil of California ottenne una concessione per l’esplorazione del petrolio saudita, segnando l’inizio di una partnership strategica basata sull’energia. Oggi Riad è un partner consolidato di Washington in Medio Oriente. Ma anche Francia, Germania e Regno Unito hanno stretto negli ultimi anni accordi miliardari con il regno wahhabita, soprattutto nel settore della difesa. Per tutti gli scrupoli vengono dopo gli interessi.
Gli accordi con Riad sono la fotografia di un’Italia che si propone come ponte tra Europa e Golfo, in cerca spazi di manovra in un Mediterraneo sempre più affollato, in una geopolitica segnata da tensioni crescenti e dalla necessità di diversificare alleanze e approvvigionamenti.
Forse non resta che guardare al bicchiere mezzo pieno, che non è costituito solo dai vantaggi economici e sociali ma anche dal ruolo che può avere una simile partnership in un’evoluzione graduale dell’Arabia Saudita verso una maggiore apertura, magari unendo alla cooperazione commerciale anche un dialogo politico sulle libertà civili e i diritti fondamentali. Compito, quest’ultimo della nostra politica estera.
 

nella foto Ansa, Giorgia Meloni con Mohamed bin Zayed





Dal sito Famiglia Cristiana

Visualizzazioni: 1
Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.

Questo sito web usa i cookies per migliorare la vostra esperienza di navigazione. Daremo per scontato che tu sia d'accordo, ma puoi annullare l'iscrizione se lo desideri. Accetto Leggi altro

Privacy & Cookies Policy