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Santambrogio: «Le linee guida del Ministero? Le ho lette con qualche fatica…»


«Bisogna insegnare ai ragazzi a scuola che, per quanto si sia sicuri delle proprie convinzioni, si deve essere disposti a riconoscere di aver forse torto se le ragioni degli avversari sono più forti». Scrive così Marco Santambrogio, già docente di Filosofia del linguaggio presso l’Università di Parma e l’Università San Raffaele di Milano, nel suo ultimo libro dal titolo Filosofia e Storia, viste da un filosofo parziale e pieno di pregiudizi, edito da La nave di Teseo. Pronto quindi a discutere (e a mettere in discussione), il professor Santambrogio, socio fondatore della European Society for Analytic Philosophy (ESAP) e della Società Italiana di Filosofia Analitica (SIFA), ha passato in rassegna le  Nuove Indicazioni 2025. Scuola dellinfanzia e Primo ciclo di istruzione. Materiali per il dibattito pubblico del Ministero, le ultime linee guida per i docenti delle scuole del Belpaese, dall’infanzia alle medie, nate, come si legge nel titolo, con l’intento di generare punti di vista.

Professore, che impressione ha avuto a lettura ultimata?
«Ho letto, con qualche fatica. Colpisce innanzitutto il carattere composito dello scritto. È proprio vero, come dicono gli architetti, che un cammello è un cavallo disegnato da un comitato! Si alternano i passi di prosa burocratica che scoraggia chiunque non sia addetto ai lavori, i tentativi di poesia profetica — “se agli uomini non viene data la possibilità di scoprire che cosa hanno fatto e stanno facendo del mondo in cui vivono, essi potrebbero camminare nelle tenebre e trovarsi di fronte alle spaventose conseguenze delle loro attività” (pag. 12) — i filosofemi da dilettanti e le affermazioni semplicemente ridicole: “Gli insegnanti hanno il dovere di conoscere e capire le potenzialità della IA”. Perché non ce le spiegano loro, le potenzialità della IA?».

Ci sono parti che si salvano?
«Non mancano le parti scritte in una prosa composta e professionale. Un solo esempio: il  paragrafo “Campi di Esperienza: i discorsi e le parole”. Chiunque l’abbia scritto, avrebbe  dovuto essere di esempio e non lo è stato».


Marco Santambrogio



Dalla forma passiamo alla sostanza. E in particolare al suo settore di competenza, la Storia.
«Tempo fa è uscito un libretto di Ernesto Galli della Loggia e Loredana Perla, Insegnare l’Italia. Una proposta per la scuola dell’obbligo. Gli autori vi espongono una particolare concezione degli obiettivi che si dovrebbe dare l’intero ambito dell’istruzione nel nostro Paese. Nelle loro stesse parole: “Se la scuola deve servire a formare buoni cittadini” deve insegnare “l’Italia, la sua storia, la sua geografia, la sua cultura. In una parola, la sua identità”. Queste loro posizioni sono ben riconoscibili nelle pagine delle Indicazioni 2025 dedicate all’insegnamento della Storia. Si afferma, come se fossero cose ovvie, che alla Storia spetta il compito non solo di raccontare i fatti, ma addirittura di spiegare il senso del mondo e la genealogia della morale: la storia “ha rappresentato una pagina decisiva del modo come si è costruita non solo la nostra comprensione del mondo ma la stessa nostra consapevolezza del bene e del male” (p. 69). E ancora: “Nella cultura dell’Occidente la storia è divenuta, ed è restata fino ad oggi, l’arena per eccellenza dove post factum si affrontano il bene e il male variamente intesi. Dove rimane memoria delle imprese degli individui e dei popoli, e si compie in qualche modo il loro destino finale: una sorta d’inappellabile tribunale dell’umanità”. Ma davvero? Non è un po’ azzardato?».

C’è dunque una prospettiva storicista, un orientamento di pensiero che riporta ogni manifestazione umana al concreto momento storico e all’ambiente in cui è emersa, che quindi aprirebbe al relativismo, alla messa in discussione di ogni forma di religione. Corretto esprimerlo, secondo lei, all’interno di linee guida destinate a tutto il corpo docente?
«In primo luogo non tutti sono storicisti, né in Italia né altrove. Il pensiero cattolico, ovviamente, non lo è. E in secondo luogo – questo mi sembra il punto cruciale – con che diritto un testo ministeriale impone a tutti i ragazzi italiani una particolarissima concezione del mondo? E poi, a chi spetta il diritto di stabilire quale sia l’identità degli italiani, anche ammesso che la nozione abbia senso (e non lo ha)?».

È quindi un problema di merito ma anche di metodo.
«Più in generale, mi sembra  che chi si assume il compito di scrivere queste Indicazioni per conto del Ministero si assuma anche la responsabilità di ogni funzionario pubblico, che non può cercare di promuovere o imporre le proprie particolari concezioni e deve invece mantenersi nei limiti di quello che tutti i  cittadini potrebbero in linea di principio condividere. Mi sembra chiaro che le idee di Galli della Loggia e Perla sono difficilmente conciliabili, ad esempio, con le convinzioni condivise da tutti i cattolici. I cattolici non sono proprio una minoranza in Italia, ma anche se lo fossero, anche se fossero solo quattro gatti, avrebbero comunque diritto a essere rispettati soprattutto per quanto riguarda i principi a cui deve tenersi l’educazione primaria dei loro figli».

Che cosa, invece, avrebbe dovuto dire il testo ministeriale?
«Molto meglio avrebbero fatto queste Indicazioni se si fossero limitate a suggerire, ad esempio,  di “sviluppare un’adeguata capacità di esposizione. Saper esporre in forma lessicalmente adeguata, oralmente o per iscritto, le proprie conoscenze storiche” e a insistere sull’importanza di “memorizzare date, conoscere gli avvenimenti salienti e collocarli correttamente sulle relative carte geostoriche”. Queste a me sembrano indicazioni sacrosante, che meriterebbero un serio dibattito pubblico».





Dal sito Famiglia Cristiana

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