Sopraffatti dal clamore mediatico e dalle implicazioni politiche anche noi siamo costretti – non senza un pizzico di malcelato disgusto – a soffermarci sul caso Sangiuliano, che – beninteso – non è l’affaire Dreyfus ma il solito scandalo, o presunto tale, dell’Italietta del potere. Del gossip che ha scatenato la solita pruderie non ci importa nulla. Ma quando la titolare di un negozio di abbigliamento diventa una consulente del ministero della Cultura (precisamente “consigliere del ministro per i Grandi Eventi”), con accesso a documenti sulla sicurezza del G7, ben otto trasferte col ministro, presenze ripetute e accertate nel pool del dicastero, cene in ristoranti a picco sul mare della Riviera di Ponente (chi pagava?), è lecito chiedersi se qualcosa non sia andato per il verso sbagliato.
Il ministro ha cercato goffamente di negare o minimizzare la vicenda, ma la “non consulente” lo ha travolto con una marea di prove. I tempi sono cambiati e forse al ministero della Cultura non se ne sono accorti. Una volta la sventurata si sarebbe recata nella redazione di un giornale e – se veniva ricevuta – avrebbe potuto confidare in un’intervista il suo astio e il suo livore e tutto finiva lì, l’Italietta del potere avrebbe tentato di arginare quella voce dal sen fuggita, come una ferita da rimarginare. Oggi la “consulente rinnegata” o “scaricata” – fate un po’ voi – non ha nemmeno bisogno di un giornale, gli basta uno smartphone. La dottoressa in questione ha scaricato – persino in diretta durante una trasmissione televisiva – una marea di languidi selfie, audio, video, documenti, registrazioni (persino riprese con occhiali muniti di telecamera disponibili in qualsiasi negozio di ottica) tali da replicare alle smentite del ministro colpo su colpo davanti ai 30 mila follower (e poi per effetto virale a tutto il Paese). Le occulte stanze del potere, gli “arcana imperii”, non esistono più. Bastano un paio di Ray Ban per sgretolare il muro di cartongesso della protezione della privacy (ma di quale privacy?). La prima lezione, per il ministro e l’Italietta in questione, è che l’impudenza del potere non esiste più e che l’ingenuità, in politica, si paga cara.
Ma al di là del pettegolezzo, ci sono implicazioni serie se guardiamo le cose da una prospettiva politica e istituzionale. La “non consulente” viaggiava spesso a bordo ell’auto blu del ministro, pagata dai contribuenti. Non si possono offrire passaggi sulle vetture del Governo alla prima che passa, e tantomeno un ministro non può consegnare documenti e informazioni sensibili alla suddetta prima che passa, perché va a detrimento della sicurezza nazionale. Vi è poi una questione di decoro istituzionale, di moralità pubblica che certo in questo caso contorto, tra trasferte, cene vista mare, pernottamenti in stanze attuigue in hotel e via postando sui social, certamente non c’è stata. E di cui la premier Meloni – attentissima a queste cose, almeno a parole – dovrà tener conto.