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Risolto il caso Sinner Clostebol, ecco perché si fermerà tre mesi, ma la sua innocenza non è in discussione.

Finalmente, libero. È ufficiale. Si è concluso definitivamente l’incidente del caso Sinner Clostebol (ricostruito per intero in questo link). Jannik, la cui innocenza sostanziale non è in discussione – ne mai lo è stata -, si fermerà tre mesi (in termine tecnico ineleggibilità), ma solo perché ricade formalmente su di lui la negligenza del suo staff: lo stop a decorrere dal 9 febbraio scorso è stato concordato dalle parti in causa, attraverso un accordo cosiddetto stragiudiziale, che interrompe il procedimento che avrebbe portato all’udienza e alla sentenza del Tibunale aribitrale dello sport, fissate per la metà di aprile aprile a Losanna. Significa che la Wada e gli avvocati del giocatore hanno trovato un accordo legale riconosciuto dalla legge dello sport che chiude il caso e che soddisfa dal punto di vista formale le ragioni degli uni e degli altri, un accordo dalle cui motivazioni Jannik Sinner esce limpido come l’acqua delle sue montagne, perché nello spiegare perché ha accettato il patto Wada che lo accusava ha riconosciuto di fatto per iscritto la correttezza del tennista italiano.


PERCHÉ LA WADA HA RITIRATO IL RICORSO

La Wada, agenzia mondiale antidoping, che aveva fatto ricorso contro la sentenza di proscioglimento del tribunale arbitrale in primo grado, comunica così il percorso che l’ha convinta ad accordarsi. «L’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA)», si legge nel comunicato, «conferma di aver stipulato un accordo per la risoluzione del caso del tennista italiano Jannik Sinner, che accetta un periodo di ineleggibilità di tre mesi per una violazione delle regole antidoping che lo ha portato a risultare positivo al clostebol, una sostanza proibita, nel marzo 2024.  A settembre, la WADA ha presentato un ricorso alla Corte Arbitrale dello Sport (CAS) per il caso di Sinner, che era stato giudicato esente da colpa o negligenza da un tribunale indipendente.   Nonostante il ricorso, le circostanze relative a questo caso specifico hanno fatto sì che, al fine di garantire un esito equo e appropriato, la WADA fosse disposta a stipulare un accordo transattivo, ai sensi dell’articolo 10.8.2 del Codice Mondiale Antidoping. L’Agenzia modiale antidoping accetta la spiegazione dell’atleta sulla causa della violazione, così come delineata nella decisione di primo grado. La WADA riconosce che il signor Sinner non aveva intenzione di imbrogliare e che la sua esposizione al clostebol non ha fornito alcun beneficio in termini di prestazioni ed è avvenuta a sua insaputa a causa della negligenza dei membri del suo entourage. Tuttavia, secondo il Codice e in virtù dei precedenti del CAS, un atleta è responsabile della negligenza del suo entourage. Sulla base della particolare serie di fatti di questo caso, una sospensione di tre mesi è considerata un risultato appropriato. Come già detto, la WADA non ha chiesto la squalifica di alcun risultato, se non quella precedentemente imposta dal tribunale di prima istanza. La Federazione Internazionale di Tennis e l’Agenzia Internazionale per l’Integrità del Tennis, entrambe co-rispondenti all’appello del CAS della WADA, nessuna delle quali ha fatto ricorso contro la decisione di primo grado, hanno entrambe accettato l’accordo per la risoluzione del caso.  Secondo i termini dell’accordo, Sinner sconterà il suo periodo di ineleggibilità dal 9 febbraio 2025 alle 23:59 del 4 maggio 2025 (che include un credito per quattro giorni precedentemente scontati dall’atleta mentre era sotto sospensione provvisoria).

Come previsto dall’articolo 10.14.2 del Codice, il signor Sinner può tornare ad allenarsi ufficialmente a partire dal 13 aprile 2025. Alla luce dell’accordo di risoluzione del caso, la WADA ha formalmente ritirato il suo ricorso al CAS».  

La procedura è prevista dalle norme del processo sportivo, e anche nell’ambito delle cause di diritto civile in molti Paesi del mondo compresa l’Italia: è un modo legale di porre fine a una controversia tra le parti in causa, formalmente accettato dal sistema, trovando una soluzione certificata che soddisfa in qualche modo entrambe le parti.

COME LEGGERE QUESTO ACCORDO

  

Come in tutti i negoziati significa cedere ciascuno qualcosa: Jannik e i suoi difensori hanno dovuto accettare una breve sospensione dai tornei, ancorché non troppo traumatica neppure per la stagione perché non pregiudica la partecipazione agli Slam e nemmeno all’Open di Roma cui l’Italia tiene in modo particolare, rinunciando ad affermare in giudizio che neppure la negligenza nella sorveglianza del suo staff si sarebbe potuta contestare al giocatore che non poteva sospettare un rischio di contaminazione involontaria.

La Wada ha dovuto rinunciare alla pretesa, affermata più volte ancora nei giorni scorsi, di una squalifica draconiana di uno o due anni, a fronte di una contaminazione che la stessa Wada riconosceva come involontaria: nessuno neppure chi ha fatto il ricorso ha mai sostenuto che Sinner avesse voluto (e potuto) doparsi in quel modo. Nessuno contestava a Sinner il doping ma solo la negligenza nella sorveglianza dello staff.

Andare a sentenza, a fronte di una giurisprudenza del Tas/Cas ondivaga sul Clostebol, come obiettievamente è stata fin qui, avrebbe significato per esporsi a un’alea pericolosa: se il Tas avesse dato ragione a Sinner, la Wada, già in discussione per i suoi ricorsi a corrente alternata, sarebbe uscita con le ossa rotte, tanto più che ha già cambiato le regole nel prossimo codice, proprio per evitare che in futuro sorgano altri casi Sinner – ossia di giocatori che risultino positivi per contaminazioni infinitesimali involontarie – ammettendo implicitamente il rischio che test sempre più sensibili trasformino la lotta al doping in una caccia alle streghe in cui si punisce la forma, mentre magari scappa la sostanza. Perdendo di vista il fatto che ciò che si persegue è la volontarietà di alterare le prestazioni attraverso sostanze, non la contaminazione ininfluente e involontaria.

Se il Tas avesse dato ragione a Wada si sarebbe configurata esattamente la caccia alle streghe di cui sopra: una carriera rovinata, a fronte di un incidente del tutto involontario che tra due anni non sarà più sanzionato e sanzionabile.


COME NE ESCONO SINNER E WADA

Per tutto questo l’accordo è la soluzione più sensata: vero è che Sinner avrebbe potuto aspirare all’assoluzione piena, ma la giurisprudenza fin qui non è stata così stabile da lasciar prevedere un esito certo, e intanto però al netto di pochi casi in cui ci sono dissidi personali (vedi Kyrgios e le sue frecciate), tutto il mondo ormai sa che il Clostebol non ha influito sulle prestazioni di Sinner, che il numero uno al mondo non ha affatto smesso di vincere dopo il controllo positivo, come avviene di solito quando un’azione dopante reale viene interrotta, né ha perso continuità come accade a chi – controllatissimo di lì in poi – non deve più farsi beccare.

Jannik è andato a testa alta per la sua strada, quella di una continuità eccezionale, che solo chi non teme nuovi successivi e frequenti controlli (prassi dopo una positività) si può permettere e con la coscienza di chi sapeva di non avere nulla da rimproverarsi.

In queste condizioni tre mesi di stop concordato non turbano granché, perché sono una sanzione solo formale, servono più che altro a salvare la faccia al sistema, ma non possono macchiare il giocatore incolpevole anche per ammissione di chi lo accusava. Le motivazioni dell’accordo messe nero su bianco dalla Wada tolgono infatti ogni possibile macchia dal percorso di Sinner, cancellando ogni ombra di sospetto a suo carico. 

Servono semmai a indurre a un ripensamento su come il sistema si è mosso fin qui: occorre non dimenticare, infatti, che la funzione dell’antidoping è contrastare e sanzionare i comportamenti che mirano a utilizzare sostanze per migliorare le prestazioni e falsare la competizione, quello e quello solo deve essere l’obiettivo. Tutto quello che va nella direzione di un formalismo vuoto rischia solo di minare la credibilità dell’intero sistema e dell’agenzia stessa. Il fatto stesso che abbia accettato questo accordo con queste motivazioni è la prova che nella stessa Wada è presente la consapevolezza di questo rischio.





Dal sito Famiglia Cristiana

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