La decisione del ministro della Giustizia italiano sul caso Abedini è arrivata, contenuta in una nota del ministero in cui si legge che Carlo Nordio «ha depositato alla Corte di Appello di Milano la richiesta di revoca degli arresti per il cittadino iraniano Abedini Najafabadi Mohammad». Il comunicato prosegue: “In forza dell’articolo 2 del trattato di estradizione tra il governo degli Stati Uniti d’America e il governo della Repubblica italiana possono dar luogo all’estradizione solo reati punibili secondo le leggi di entrambe le parti contraenti, condizione che, allo stato degli atti, non può ritenersi sussistente”.
Abedini, ingegnere iraniano di 38 anni, è stato fermato all’aeroporto Milano Malpensa, su mandato di arresto internazionale, il 16 dicembre scorso, tre giorni prima dell’arresto della giornalista Cecilia Sala in Iran. Su di lui pendeva dal 13 dicembre il mandato di arresto ai fini di estradizione, richiesta formalizzata dagli Stati Uniti. L’uomo era stato sottoposto a misura cautelare in carcere per il pericolo di fuga.
L’ingegnere è accusato dagli Stati Uniti di supporto ai Pasdaran di Teheran e, insieme ad un complice arrestato negli Usa, di cospirazione per esportare componenti elettronici dagli Stati Uniti all’Iran, in violazione delle leggi statunitensi sul controllo delle esportazioni e sulle sanzioni. Accuse che Abedini respinge.
L’incubo di Cecilia Sala si è concluso con la sua liberazione e il suo rientro in Italia. Ma la repressione attuata dal regime iraniano nei confronti di tutte le voci critiche e dissidenti non conosce tregua. diventa sempre più dura: l’8 gennaio la Corte suprema di Teheran ha confermato la condanna a morte per Pakhshan Azizi, 40enne attivista curda per i diritti delle donne, arrestata nel 2023 con l’accusa di “ribellione armata contro lo Stato”. Oltre a lei, la Corte ha confermato l’esecuzione anche di altri due detenuti nel carcere di Evin, Behrouz Ehsani e Mehdi Hassani.
In una lettera firmata in questi giorni da 68 prigionieri politici nelle carceri iraniane viene lanciato l’allarme sulla pratica della pena di morte in Iran: solo nel 2024, ricordano i firmatari, nel Paese sono state eseguite mille condanne capitali, l’anno scorso l’Iran si è reso responsabile di quasi il 75% delle esecuzioni nel mondo (nel 2023 le condanne erano state oltre 800). Come spiega Amnesty International, il giro di vite della pena capitale colpisce «persone condannate per reati di droga, ma anche manifestanti e dissidenti politici nonché le minoranze etniche oppresse». Nel 2025 le persone giustiziate sono già 40.
I firmatari accusano Teheran di rafforzare ed estendere l’uso della pena di morte come mezzo di controllo dei dissidenti politici, per cercare di soffocare il crescente movimento di protesta attraverso lo strumento del terrore, e chiedono alla società di compiere urgentemente delle azioni per contrastare l’esecuzione dei tre detenuti condannati.
(Nella foto Ansa, Mohammad Abedini)