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Regno Unito, dopo 14 anni di potere “Tory” un socialista verso Downing Street

Se Keir Starmer diventerà, tra una settimana, dopo le elezioni generali del 4 luglio, premier, come sembra certo, il Regno Unito tornerà ai suoi cittadini, che si identificano in questo figlio delle classi lavoratrici, modesto e onesto, dopo gli anni disordinati e incompetenti di Boris Johnson e Liz Truss. Se quel portone nero cosi famoso di Downing Street accoglierà, dopo 14 anni di ininterrotto potere conservatore, un socialista, il merito non sarà tanto delle proposte politiche del nuovo premier, ma degli errori dei suoi predecessori che hanno sbagliato troppo. Boris Johnson festeggiando, mentre i cittadini morivano di Covid. Liz Truss distruggendo l’economia britannica, con una manovra fiscale costruita soltanto sulla fede cieca nella rimozione delle tasse, costata cara a milioni di cittadini delle classi medie, che hanno visto aumentare, di colpo, i mutui e peggiorare la qualità di vita, già colpita dalla pandemia e dall’aumento dei prezzi causato dalla guerra in Ucraina.

Peggio di così i premier britannici non avevano mai fatto e così questo ex procuratore generale poco carismatico, che il settimanale The Economist ha definito «un mistero, avvolto in un enigma, impacchettato in materiale beige e di buon senso» trionferà. Almeno così dicono i sondaggi che lo danno, da mesi ormai, di venti o anche venticinque punti percentuale in vantaggio rispetto al suo avversario Rishi Sunak. Anche se sarà importante capire quanto ampia sarà la maggioranza di cui potrà godere per sapere se Starmer cambierà, davvero, le cose e quanto a lungo sarà al potere.

L’uomo grigio di Downing street, in sei settimane, ha cercato di convincere chi voterà che i laburisti, come è sempre capitato nella storia della Gran Bretagna, sono più competenti, rispetto ai conservatori, nella gestione dei servizi pubblici e che la colpa della situazione disastrosa di oggi è dei Tory, che hanno tagliato il settore pubblico subito, già con David Cameron, nel 2010. Il problema è come le promesse di Starmer verranno finanziate, considerato che si è impegnato non toccare le forme principali di tassazione, reddito, IVA e National Insurance, i contributi per malattia e pensione. I prelievi fiscali previsti, ottenuti combattendo l’evasione fiscale, con un’imposta sui giganti del petrolio e del gas, modificando lo status di “non residenti” dei più ricchi, cosi che vengano tassate anche le loro rendite all’estero, e raccogliendo un miliardo e mezzo di sterline all’anno, con la sospensione delle esenzioni fiscali degli istituti privati, sono stati definiti, dagli economisti, “minimi, irrilevanti”, non certo sufficienti a migliorare i servizi pubblici come Starmer ha promesso, più volte, che farà. Certo il ministro ombra delle Finanze e del Tesoro Rachel Reeves ha insistito sulla “crescita economica”, quello che è stato anche il mantra elettorale del suo capo, ma come, concretamente, nei dettagli, questa possa essere ottenuta non è stato detto.

Né l’uomo grigio di Downing Street ha osato ammettere che Brexit è stato un vero disastro, come riconoscono il 58% degli elettori a favore di un rientro in Europa e ha confermato più volte che non intende rientrare nell’unione doganale e nel mercato unico europei. Soltanto il tono della conversazione con l’Europa cambierà, visto che la squadra del nuovo premier è molto filoeuropea.

«Penso che la crisi del partito conservatore, che alcuni esperti definiscono “a rischio di estinzione”, non sia una buona cosa per la democrazia britannica, dove ci vuole una opposizione forte ed equilibrata e anche un partito moderato di centro», spiega Stefan Enchelmaier, esperto di Costituzione all’Università di Oxford, cattolico, «anche per i 4,5 milioni di cattolici che, pure, nella grande maggioranza, hanno sempre votato laburista, questo fatto è negativo perché il partito “Tory” ha sempre offerto un’alternativa importante alla tradizione socialista, uno spazio per un centro moderato, che ha ospitato valori cristiani e anche una tradizione filoeuropea. Parlamentari come il cattolico ex governatore di Hong Kong Chris Patten hanno sempre rappresentato questa sezione del partito che, purtroppo, nel settembre 2019, Boris Johnson ha distrutto. La mia speranza è che questa fazione cosi estrema si trasferisca nel partito Reform di Nigel Farage, lasciando spazio ai moderati per ricostruire il partito, cosi che vi sia una buona alternativa ai laburisti».

Ed è proprio Nigel Farage uno dei protagonisti chiave di queste elezioni. L’abilissimo politico, al quale dobbiamo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea, è sceso in campo come leader di Reform, una formazione di destra, con una forte agenda anti immigrazione, per la quale votano circa il 16% degli elettori. Il suo ottavo tentativo di conquistare un seggio a Westminster potrebbe, questa volta, avere successo. Questo politico populista, già fondatore dei partiti Ukip e Brexit party sostiene che toccano a lui le chiavi di Downing street. I sondaggi, per il momento, per fortuna gli danno torto.

(Foto Reuters: Keir Starmer)





Dal sito Famiglia Cristiana

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