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RD Congo, maxi-evasione dal carcere di Bukavu

Nella località del Sud Kivu, occupata dai ribelli dell’M23, dilagano insicurezza e violenza dovute anche a una fuga di massa dalla prigione cittadina avvenuta a metà febbraio. Decine di ex detenuti hanno messo a ferro e fuoco l’istituto penitenziario, saccheggiando il dispensario e la cappella. La testimonianza del cappellano del carcere, padre Adrien Cishugi: stiamo attraversando un calvario

Marina Piccone – Città del Vaticano

Una città completamente allo sbando quella di Bukavu (capoluogo del Sud Kivu), occupata dai ribelli dell’M23, il 16 febbraio scorso. Saccheggi, rapine e omicidi si susseguono con frequenza giornaliera. La Chiesa locale riferisce di tre-quattro cadaveri in strada ogni notte. Corpi affiorano anche dal lago Kivu. Le infrastrutture e i mercati sono stati razziati e distrutti e il furto dei minerali è continuo.

Crimini e violenze all’ordine del giorno

I crimini sono commessi oltre che dai ribelli, dai detenuti della prigione centrale, evasi il 14 febbraio. Situato nel quartiere Pageco, il carcere era un vero e proprio girone dell’inferno. Una struttura con una capienza di 450 posti era arrivata a contenere 2.300 persone, fra uomini, donne e minori. Il sovraffollamento, le condizioni igieniche inesistenti, il cibo scarso e di una qualità pessima caratterizzavano questo luogo, dove i diritti umani sono parole senza senso. In una parte di mondo ricchissima di minerali, oro e diamanti, dove vive una popolazione tra le più povere della terra a causa di una guerra che dura da 30 anni, i detenuti, infatti, non possono che essere l’ultimo pensiero di uno Stato, da sempre assente.

Padre Cishugi: maxi-evasione dal carcere di Bukavu

A raccontare ai media vaticani i giorni della maxi evasione dalla prigione è padre Adrien Cishugi, cappellano del carcere di Bukavu da 15 anni, che si è sempre battuto per dare una parvenza di dignità ai detenuti e, perciò, da questi molto amato. Sempre in cerca di soldi per donare loro cibo, abiti e medicine, a qualche prigioniero ha restituito anche la libertà, dopo faticose e costose ricerche personali che hanno dimostrato che alcuni aveva finito di scontare la pena da anni senza che gli venisse comunicato. Con un salario del tutto insufficiente e neanche regolare, Adrien, un uomo di 60 anni con un sorriso fanciullesco, è comunque felice della sua missione tra gli ultimi della terra. Ora è disoccupato anche lui, come tutti gli altri cittadini, ma non inattivo. Attualmente, si trova sull’isola di Idjwi, dove, già da anni, ha avviato progetti di istruzione e salute per i pigmei, una popolazione discriminata in via di estinzione.

Il saccheggio del dispensario e della cappella

“Il 14 febbraio, nella prigione di Bukavu c’erano 2.299 persone — spiega —. I primi ad evadere, verso le 16, sono stati i minori (62). Alle 17, le autorità, temendo il pericolo di stupri, come era avvenuto nel carcere di Goma alcune settimane prima, hanno ritenuto opportuno rilasciare le donne (75, con due bambini piccoli). Alle 22, visto che i soldati di guardia erano andati via anche loro, i restanti prigionieri si sono riversati in massa nella città. Non hanno portato via niente ma, purtroppo, il deposito di viveri è stato scoperto da alcuni habitué del carcere e, il 16 febbraio, è cominciato il saccheggio da parte della popolazione. Verso le 11 del mattino, seduto sul balcone, ho visto passare davanti ai miei occhi il cibo riposto nel dispensario e gli oggetti sacri della cappella. Un giovane ha portato via l’ostensorio, che un cristiano ha comprato per 7.000 fc (3 euro circa, ndr)”. Padre Adrien ricorda anche che “qualcuno ha appiccato un incendio, con conseguenze incalcolabili sulla struttura. I giovani del quartiere — afferma — sono intervenuti per spegnere il fuoco e, durante l’operazione, si sono imbattuti in alcuni ragazzi che avevano preso gli oggetti liturgici. Li hanno riportati fuori, con l’obiettivo di andare a salvare il resto delle cose rubate. Sono rimasto molto colpito dalla loro determinazione. È intervenuto anche il direttore del carcere che, con l’autista del camion, si è messo pure lui alla ricerca. Tutta la comunità, le suore e i sacerdoti, sono andati in soccorso dei giovani che combattevano con i saccheggiatori. Nel complesso, l’80 per cento del materiale della liturgia è stato recuperato e conservato presso la comunità: libri, alcuni camici dei chierichetti e dei coristi, le casule, ma, purtroppo, non le vesti dei sacerdoti, i calici e le pissidi. Quando abbiamo cominciato a fare l’inventario delle cose rimaste, nel deposito degli alimenti ho trovato alcuni sacchi di farina, difficili da trasportare perché pesano più di 100 kg ognuno. Ho chiesto il permesso di consegnarli al servizio sociale dell’ospedale generale. La farmacia era in fiamme. Abbiamo spento il fuoco e poi raccolto qualche medicina sparsa qua e là”.

“Alla criminalità ora i cittadini rispondono con la vendetta”

Complessivamente, prosegue il cappellano, “con i giovani del quartiere, abbiamo spento quattro incendi. Durante il sopralluogo — racconta — abbiamo trovato tre ragazzini che si erano nascosti perché non sapevano dove andare. Erano rimaste anche sette persone molto malate, impossibilitate a fuggire. Grazie a Dio, siamo riusciti a portarle all’ospedale generale. È quella parte degli ospiti di cui abbiamo il dovere di prenderci cura appena possibile. Attualmente, stiamo risanando l’istituto, per evitare la diffusione di malattie nel quartiere, soprattutto del colera”. Per quanto riguarda gli ex prigionieri, padre Adrien afferma che “alcuni si sono riuniti con le loro famiglie”, mentre “altri non sanno dove andare e molti si nascondono, soprattutto militari e poliziotti”. “In città c’è molta criminalità”, racconta: “Circolano molte armi da fuoco, abbandonate dal personale dell’esercito congolese in fuga”. Si spara ovunque. “E siccome non c’è più la prigione, quando un bandito viene preso, i cittadini lo bruciano vivo. Stiamo attraversando un calvario”.
 



Dal sito Vatican News

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