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Rd Congo, la devastazione di Goma occupata dall’M23

Il capoluogo del Nord Kivu, occupato a fine gennaio dai ribelli del gruppo M23, è in balia del caos e delle violenze. L’Onu parla di almeno 8.000 vittime accertate nei combattimenti, ma la situazione rimane molto grave e non si intravede una via di uscita dalla crisi. Ai media vaticani, la testimonianza di un membro della comunità Muungano: “Le uccisioni avvengono ogni giorno senza che qualcuno intervenga. Non ci sono più né polizia, né tribunali, né giudici”

Marina Piccone – Città del Vaticano

A poco più di due mesi dall’occupazione, la città di Goma è totalmente alla mercé dell’amministrazione militare dei ribelli dell’M23, al soldo del Rwanda. I video raccapriccianti inviati da gente del capoluogo del Nord Kivu — nell’est della Repubblica Democratica del Congo martoriato dal conflitto — mostrano torture e esecuzioni di cittadini a bastonate, corpi nudi di donne che galleggiano nel lago, mamme che piangono disperatamente davanti ai cadaveri dei figli riversi in una pozza di sangue.

I dati dell’Onu

I rapporti Onu parlano di almeno 8.000 morti, fra militari e civili, e di un numero incalcolabile di feriti e dispersi. Le migliaia di persone rifugiate nei campi profughi intorno a Goma ora sono costrette a fare il viaggio a ritroso per ordine dei nuovi padroni, ma quando arrivano nei villaggi di provenienza, trovano le loro case distrutte o occupate e cominciano a peregrinare da un luogo all’altro, senza sapere bene dove andare. Gli abitanti, già duramente provati da oltre tre anni di assedio e di atrocità da parte dei gruppi ribelli, sono allo stremo delle forze. Oltre che con i nuovi padroni, devono fare i conti anche con i detenuti fuoriusciti dal carcere della città, circa 3.000, che seminano il terrore. Tutti uomini. Le 129 donne e i 29 bambini prigionieri sono morti bruciati nell’incendio appiccato all’interno dell’edificio. 
Tutti i tentativi istituzionali di dialogo con gli Stati confinanti sono falliti e la popolazione, che è sempre stata attiva e determinata, confidando nella capacità del governo di neutralizzare i gruppi armati, ormai si sente derubata di tutto, pure della speranza.

La testimonianza della comunità Muungano

La situazione è disastrosa anche sul piano economico, come racconta un membro di Muungano (Solidarietà insieme, in swahili), una comunità di religiosi e laici nata nel 1976 ad opera del missionario saveriano, Silvio Turazzi, e di Edda Colla, consacrata nell’Ordo Virginum. «Le banche sono chiuse e i lavoratori non possono prelevare i loro stipendi. Chi può va a Gisenyi, in Rwanda, per rifornirsi da istituti finanziari internazionali, ma la moneta è in franchi rwandesi e la conversione in dollari o in franchi congolesi è molto penalizzante». Tanto per fare un esempio, la sorella del nostro interlocutore è un’insegnante e guadagna l’equivalente di 130 dollari al mese. A febbraio, nel cambio, ha subito una decurtazione di 25 dollari. Un taglio pesantissimo, in generale e in questo momento in particolare, che è di grande instabilità. «Non ci sono soldi per fare piccole scorte di cibo», continua la nostra fonte, che, per motivi di sicurezza, preferisce rimanere anonima. «In più, i ribelli hanno introdotto tasse sul trasporto dei generi alimentari, che provengono per lo più dal Rwanda, con conseguente aumento dei costi». La Chiesa, sempre molto attiva nel Kivu, si è mobilitata, chiamando a raccolta i cittadini per condividere cibo e vestiario. Oltre che mangiare, è complicato anche far studiare i propri figli perché gli insegnanti chiedono un supplemento di stipendio (i genitori sono normalmente costretti a contribuire economicamente visto le paghe miserevoli dei docenti). Cosa ormai impossibile per gran parte della popolazione che, comunque, evita di mandare i ragazzi a scuola, per paura che vengano forzosamente arruolati nelle file dei ribelli. 

Le violenze mettono a rischio anni di lavoro

Muungano, all’inizio una semplice casetta di legno, con il tempo si è trasformata in un Centro nutrizionale, una struttura sanitaria e tanti laboratori gratuiti di formazione: alfabetizzazione, sartoria, manifattura di oggetti di artigianato, falegnameria. Si occupa anche di recupero di bambini di strada e di persone con disabilità, una condizione vissuta in prima persona da padre Turazzi, in carrozzina dall’età di 30 anni in seguito a un incidente d’auto nel quale perse l’uso delle gambe. Nel Kivu, il missionario, scomparso nel 2022, arriva insieme a Edda nel 1975, e, un anno dopo, realizza il piccolo villaggio della solidarietà. Ora, l’intensa attività del Centro è a rischio. L’ambulatorio, che, negli anni, ha assistito migliaia di utenti, prima della guerra incassava sui 1.400 dollari al mese, da dividere tra i 12 operatori sanitari; a febbraio, sono entrati solo 450 dollari, per lo stesso numero di impiegati. La salute non è più una priorità. Come la formazione. Dei 198 studenti dei laboratori, ne sono rimasti 100; gli insegnanti sono sempre 20 ma non ricevono più il salario, che dipende dal ricavato della vendita dei manufatti. Ora, anche a causa di una bomba che ha danneggiato il tetto, la produzione si è molto ridotta. 
Tutto è precario, insicuro, spaventevole. «Le uccisioni avvengono ogni giorno senza che qualcuno intervenga. Non ci sono più né polizia, né tribunali, né giudici, e il numero dei militari presenti è insufficiente a garantire la sicurezza della città, che oggi conta quasi due milioni di abitanti», prosegue il nostro testimone. «Così, i cittadini si fanno giustizia da soli, bruciando vivi i malviventi. Tra i quali gli ex detenuti, autori di furti, rapine e omicidi, in caso di opposizione. Siamo costretti a chiuderci in casa prima delle 19 e, se ritardiamo, stiamo in apprensione per noi e per la nostra famiglia. Viviamo nello stress, nel trauma e nella psicosi, perché non sappiamo cosa può succederci da un momento all’altro».



Dal sito Vatican News

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