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RD Congo, fine delle ostilità si lavora alla tregua

In Qatar raggiunta l’intesa tra le forze di Kinshasa e il Movimento 23 marzo per rilanciare il dialogo e mettere fine a una guerra che rischia di infiammare l’intera regione del Corno d’Africa

Francesco Citterich – Città del vaticano

Importante svolta nel sanguinoso conflitto che sta devastando le regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo. Dal Qatar dove sono in corso i colloqui tra il governo di Kinshasa e il gruppo ribelle Movimento 23 marzo è arrivata una dichiarazione congiunta sull’intenzione comune di  «lavorare per la conclusione di una tregua».

Fine delle ostilità

«Dopo discussioni franche e costruttive, le due parti riaffermano il loro impegno per una cessazione immediata delle ostilità, che intendono rispettare immediatamente per tutta la durata dei colloqui e fino alla loro conclusione», si legge nella dichiarazione. L’intesa avviene a quasi tre mesi dalla vasta offensiva scatenata dall’M23, che si dice siano sostenuti dal Rwanda, che hanno conquistato armi in pugno le città orientali di Goma e di Bukavu.

Una guerra dalle origini lontane

La parte est della Repubblica Democratica del Congo è teatro da anni di una grave crisi umanitaria e di sicurezza, aggravata dalla recente offensiva dell’M23 e dalla presenza di altri gruppi armati attivi nella regione, come le Forze democratiche alleate (Adf), affiliate al sedicente stato islamico (Is). Per comprendere il contesto dell’annoso conflitto bisogna tornare al genocidio rwandese del 1994, quando gli autori dei massacri si rifugiarono nella Repubblica Democratica del Congo dopo la vittoria degli uomini di Paul Kagame, tuttora al potere in Rwanda. Questo è il punto di partenza di uno scontro sempre più aspro e sanguinoso. Un conflitto, spesso lontano dai riflettori internazionali, che continua a rappresentare una enorme tragedia per milioni di persone. I resoconti delle organizzazioni umanitarie internazionali e della Croce Rossa — che tra enormi difficoltà operano sul posto — lasciano poco spazio ai dubbi.

Una tragedia umanitaria

A causa dei combattimenti sempre più intensi, si contano decine di migliaia di morti. La quasi totalità delle vittime sono civili, la metà delle quali bambini, che costituiscono oltre il 50% della popolazione congolese: se negli anni molti minori sono morti a causa dei combattimenti, un numero certamente maggiore è poi deceduto per fame, malattie, mancanza d’acqua potabile e d’ogni tipo d’assistenza medica e sociale. E a ogni riaccendersi dei combattimenti si ripete lo stesso, drammatico copione: migliaia di famiglie costrette a fuggire, a camminare decine di chilometri per rifugiarsi in chiese, scuole e accampamenti di fortuna.

Le risorse minerarie della regione

Le guerre che hanno sconvolto la Repubblica democratica del Congo dagli anni ’90 ad oggi – che si inseriscono nel contesto più ampio della crisi della regione dei Grandi Laghi, situata al centro dell’Africa – hanno sempre avuto due comuni denominatori: il possesso delle risorse e la questione identitaria.
Le ricchezze minerarie congolesi — soprattutto nel Kivu Nord, tra cui uranio, oro, diamanti e, soprattutto, coltan, indispensabili per costruire i dispositivi digitali che usiamo ogni giorno e per la transizione ecologica — vengono sistematicamente depredate da miliziani. Il coltan, presente in grandi quantità nel territorio congolese, ma non in Rwanda, è un minerale fondamentale per la produzione di componenti elettronici ad alta tecnologia, come quelli utilizzati in telefoni cellulari, computer portatili, tablet e dispositivi aeronautici. Il coltan viene estratto illegalmente e poi trasportato in Rwanda, da dove viene esportato verso i mercati internazionali, spesso attraverso canali non ufficiali. Il commercio di coltan ha un giro d’affari del valore di milioni di dollari, ma contribuisce anche al conflitto armato nella regione, alimentando violenze e instabilità.

Divisioni etniche

In quanto alle motivazioni etniche, i tutsi chiedono una revisione dei contratti minerari e la creazione di uno stato federale che destini il 60% delle ricchezze al Nord Kivu. I congolesi rwandofoni, che rappresentano meno del 5% della popolazione, sono principalmente concentrati nelle province del Kivu. Nonostante la loro esiguità numerica, i tutsi hanno avuto un significativo ruolo politico, grazie al supporto del governo di Kigali, che giustifica le sue azioni nella RDC come una difesa contro le minacce degli Hutu, nonostante queste siano ora marginali. Recentemente, il Rwanda è stato accusato di “eccesso di legittima difesa”, con l’obiettivo di occupare parte del territorio congolese per far fronte alla sovrappopolazione. Nel contesto del conflitto, il gruppo armato M23 ha, come detto, intensificato le sue operazioni nel Kivu, creando ulteriori tensioni e instabilità. L’intervento di queste milizie ha complicato la già difficile situazione, con Kinshasa che, oltre alla grave crisi economica (dove il 75% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno), deve fronteggiare la minaccia dei gruppi armati e la crescente rivalità tra le etnie.

 

 



Dal sito Vatican News

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