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Quel perdono che cambia il futuro


Nel libro “Violenza, misericordia e perdono cristiano. Essere martiri nel mondo odierno”, edito da Chirico, diversi saggi analizzano il rapporto fra queste realtà che segnano la vita dell’uomo. Emergono le conseguenze, anche psicologiche, del perdono, la differenza fra perdono laico e perdono cristiano e l’apertura al futuro di chi sa perdonare, dimenticando “rancore, livore e vendetta”, come scrive il Papa nella “Spes non confundit”

Debora Donnini – Città del Vaticano

La violenza è stata da sempre una via di soluzione dei conflitti sia interpersonali, sia a livello più ampio, fra popoli e nazioni. È proprio a partire da questa realtà di fatto che emerge l’obiettivo del libro curato da Paolo Gentili e intitolato Violenza, misericordia e perdono cristiano. Essere martiri nel mondo odierno: “offrire la possibilità per il lettore credente di rinforzare la propria adesione a proclamare il perdono come missione del cristiano”. Lo sottolinea nella prefazione, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini. “Questo perdono, che viene dall’Alto – rimarca – di fatto costituisce l’unica risposta adeguata alla violenza del mondo, iconicamente rappresentata nel supplizio della Croce”.

Antropologia, filosofia, psicologia a confronto

Il libro, edito da Chirico e composto da saggi di diversi autori, affronta la relazione violenza-misericordia-perdono, secondo diverse sfaccettature: da quella filosofico-antropologica a quella teologica e psicologica, sempre in confronto la Parola di Dio.

Parlare della relazione violenza-perdono non può non riportare agli studi del noto antropologo francese, René Girard, che rintraccia l’origine della violenza nel desiderio mimetico, per cui si è portati a desiderare ciò che gli altri desiderano. La violenza si concentra quindi su una vittima sacrificale.  Cristo, vittima totalmente innocente, svela la dinamica del capro espiatorio. Gesù “viene a liberarci dalla morte e dalle trappole sacrificali”, sottolinea nel suo saggio, contenuto nel libro, Ángel Barahona, professore ordinario presso l’Università Francisco de Vitoria e l’Università ecclesiastica San Damaso e traduttore dell’opera di Girard in spagnolo.

Nell’intervista ai media vaticani il curatore dell’opera Paolo Gentili, medico psichiatra e psicoterapeuta, già professore associato in Psicologia Clinica presso l’Università La Sapienza di Roma, rimarca come il capitolo sia ricco di esempi di perdono tratti anche dal Vecchio Testamento, come testimonia l’esperienza di Giuseppe in Egitto nel rapporto con i suoi fratelli.

Le conseguenze del perdono

Riguardo la parte più prettamente psicologica, Gentili affronta la questione delle conseguenze fisiche del perdono. “Da tempo si è visto come vi sono effetti positivi per il benessere psico-fisico e sociale, perché l’uomo è un’unità fra le varie componenti, fra mente e psiche, fra ragione e atti”. “Un perdono inteso come pacificazione rispetto a sé stessi, ad esempio nei traumi, reca un miglioramento della qualità di vita, lavorativa, affettiva. L’aver superato gli effetti traumatici del dolore personale fa sì che la persona possa abbandonare i circuiti basati sulla gratificazione immediata come, ad esempio, quelli delle dipendenze”.

C’è poi una differenza fra il perdono cristiano e altri tipi di perdono. Gentili sottolinea che sperimentare la paternità di Dio permette al cristiano di aver un rapporto diverso con il trauma che non è più un evento senza senso ma acquista un significato nella storia: si ha la possibilità di guardare al carnefice con occhi diversi. “Da una parte c’è un perdono immanente, laico, che si basa sulla responsabilità morale, per il quale la persona trascende la sua intenzione egocentrica per avere compassione del colpevole, che è un atto laicamente inteso, dall’alto in basso. Al cristiano è offerta la possibilità di condividere con il carnefice il proprio cuore, debole, imperfetto. Questa posizione non è però raggiungibile con la mente ma fa parte di un cammino della propria fede personale, nella Chiesa”.

Una lettura del perdono a partire dal confronto con la filosofia è offerta da Francesco Bovi, professore di filosofia e storia presso l’Istituto Teologico di Assisi e presso lo Studium Theologicum Galilaeae. Proprio la lettura dei sistemi filosofici, ad esempio del marxismo, mostra l’enorme distanza “fra il senso di giustizia umano e la giustizia della Croce”.

Centrale in questo senso il Mistero Pasquale, rimarca don Armando Medina Vargas, professore stabile di Teologia morale e Bioetica presso lo Studium Theologicum Galilaeae, che in particolare si sofferma sull’importanza del dono nella relazione coniugale. “Grazie al Mistero pasquale – evidenzia – l’amore e il perdono nel matrimonio cristiano non sono più impossibili, perché Cristo ha distrutto tutte le barriere che impedivano all’uomo di amare e perdonare”.

Il perdono non cambia il passato

Del “guaritore ferito” parla poi nel suo saggio, don Francesco Giosué Voltaggio, direttore della Domus Bethaniae e professore di Sacra Scrittura presso lo Studium Biblicum Franciscanum e presso lo Studium Theologicum Galilaeae.  Riprende questo archetipo junghiano. Già in Isaia, si parla del Servo di YHWH, che prende su di sé delle sofferenze del popolo caricandosi delle sue colpe. Delle piaghe salvifiche di Cristo parla poi la prima Lettera di Pietro. Ci sono ferite che lasciano cicatrici troppo profonde, rileva don Voltaggio, ma noi non siamo condannati a essere per sempre vittime di queste e non siamo chiamati solo a cercarne le cause. Le ferite possono essere trasformate per un fine. “Le ferite di Cristo, e in esse le nostre ferite divengono così feritoie verso il Cielo che illuminano la storia”.

Tutto questo ha risvolti ben concreti, espressi da Papa Francesco nella bolla di indizione del Giubileo 2025, Spes non confundit. “Perdonare – scrive il Papa – non cambia il passato, non può modificare ciò che è già avvenuto; e, tuttavia, il perdono può permettere di cambiare il futuro e di vivere in modo diverso, senza rancore, livore e vendetta”.



Dal sito Vatican News

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