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Quando l’arte aiuta a pregare



L’udienza privata di Michele Affidato e il figlio Antonio con papa Francesco.

di Antonio Tarzia

 

Quando si parla di Giubileo si parla (anche) di arte e di artigianato. L’Anno Santo, infatti, non è solo un rifiorire spirituale, ma è anche un’era nuova di opere d’arte e di impegni caritativi. Michele Affidato, orafo di Crotone, soprannominato anche “l’orafo dei Papi”, ha dedicato la sua vita all’arte preziosa delle pietre rare, dell’oro e dell’argento creando opere che uniscono tradizione e innovazione. Affidato ha avuto, per l’Anno Giubilare, l’incarico da Papa Francesco di realizzare delle formelle scultoree ispirate al suo Magistero Pontificio. Se il suo lavoro ha avuto nel tempo anche un riconoscimento internazionale, nella sua vita il rapporto con il Vaticano ha rappresentato uno degli aspetti più significativi.

 

Da dove parte la frequentazione con gli ambienti vaticani?

«Il mio percorso in Vaticano è iniziato da un incontro con Giovanni Paolo II e da allora ho avuto attenzione nella creazione di opere di arte sacra, che mi hanno visto a fianco degli ultimi tre Pontefici. Per Papa Benedetto XVI e Papa Francesco ho realizzato anche dei paramenti liturgici preziosi con i relativi stemmi papali. Fondamentale è stata la mia frequentazione con Monsignor Piero Marini, Cerimoniere Pontificio, e con Monsignor Paolo De Nicolo, allora Reggente della Prefettura della Casa Pontificia, due persone molto vicine a Giovanni Paolo II, con i quali ho instaurato un rapporto di profonda stima e amicizia. Fu proprio Papa Giovanni Paolo II a farmi conoscere il culto della Madonna di Częstochowa».

 

Lei ha ricevuto l’incarico di realizzare i Nuovi Diademi della Madonna di Czestochowa, Regina della Polonia, nel 300° anniversario della prima incoronazione.

«Si, è vero. Ho cominciato a conoscere la Madonna di Częstochowa nel 1982, quando Giovanni Paolo II visitò Crotone. In quell’occasione, gli fu donata un’icona con le immagini delle due Madonne, quella di Capocolonna e quella di Częstochowa, accompagnata dalla scritta: “Una Mater multi filii”  (Una Madre, molti figli). Mi rimase impressa quella frase, perché già allora vedevo nella Madonna di Częstochowa una figura molto simile alla nostra. Entrambe nere, con il Bambino in braccio. Sono rappresentazioni della Theotokos, con la Madre e il Figlio incoronati con doppia corona. Mai avrei pensato che un giorno i padri Paolini polacchi mi avrebbero commissionato la realizzazione dei diademi per il Santuario della Madonna di Częstochowa, in occasione del 300° anniversario della prima incoronazione a sostituzione delle corone trafugate nel 1909». 

 

Quando prepara un’icona o un’opera religiosa con i volti di Maria e di Gesù, cosa prova sapendo che intere popolazioni, inginocchiate, pregheranno davanti a quell’oggetto consacrato in una chiesa o in un luogo di culto?

«Nella mia prima giovinezza, benché fossi sempre vissuto da cristiano impegnato, non avevo questa sensibilità alla vita spirituale. Poi, dopo l’incontro con San Giovanni Paolo II e dopo l’incoronazione dell’icona prodigiosa della Madonna di Czestochowa, mi sono accorto di aver intrapreso una strada in salita e contemporaneamente anche in profondità. Quando ho in mano un lavoro che diventerà oggetto liturgico o icona devozionale, mi viene spesso da pensare a quanto il nobile studioso calabrese Cassiodoro diceva ai suoi monaci copisti e miniaturisti: che le tre dita impegnate nell’operazione apostolica di moltiplicazione della Parola di Dio erano strumento di preghiera e benedizione. Di questo erano consapevoli anche i monaci ortodossi medievali che dipingendo le icone in ginocchio, cantavano Salmi e profumavano l’ambiente con incensi».

 

Come è nata la sua vocazione a quest’arte affascinante e preziosa?

«Penso che artisti non si nasca, ma si diventi dopo anni di studio e di ricerca. Io, per esempio, sono nato e cresciuto a Crotone, nella Piazzetta San Pietro, dove un tempo, in una strada adiacente, vi erano diverse botteghe di orefici. Il mio approccio al mondo dell’arte orafa inizia all’età di 12 anni, mentre la mattina andavo a scuola e il pomeriggio frequentavo una bottega d’arte orafa. Per 10 anni ho appreso le tecniche di lavorazione e nel lontano 1987 ho aperto il mio primo laboratorio nella città di Crotone». 

 

Lei è stato incaricato dalla Segreteria di Stato Vaticana di realizzare delle opere per Papa Francesco, delle formelle scultoree ispirate al Magistero Pontificio da destinare ai Capi di Stato e di Governo in occasione dell’Anno Santo 2025.

«Ricevere la richiesta di realizzare opere per il Santo Padre ci ha riempito di gioia e di orgoglio. Insieme a mio figlio Antonio, abbiamo studiato temi cari al Papa come la globalizzazione, l’accoglienza dei migranti e la cura del creato alla luce dei cambiamenti climatici. Le opere realizzate sono formelle scultoree in bronzo che rappresentano alcune scene, da cui i loro titoli: “Dialogo tra le generazioni”, dove un giovane tende la mano a un anziano; “Accoglienza e fraternità”, in cui si vedono due mani tese verso l’umanità senza distinzione di credo o razza; “Cura del creato”, con due mani che sorreggono un vaso da cui sboccia nuova vita e con uno sfondo che rappresenta l’opera dell’uomo sulla natura. Inoltre, sono state realizzate formelle dell’Icona della Madonna “Salus Populi Romani” e della Madonna “Mater Ecclesiae”. 

 

Ha incontrato Papa Francesco?

«Per quanto realizzato, insieme alla mia famiglia, ho avuto l’onore e la grazia di incontrare Papa Francesco. Durante l’incontro, il Santo Padre ha manifestato apprezzamento per le opere realizzate, gustandone la bellezza e in particolare la capacità di comunicare i significati umani e sociali del proprio Magistero. Riferendosi alla formella scultorea “Dialogo tra le Generazioni”, ha detto che non è soltanto l’unione delle generazioni, ma fa capire che si può guardare una persona dall’alto in basso, per aiutarla a sollevarsi. È un messaggio bellissimo!».

 

Cosa ha trasmesso lei al suo miglior discepolo, cioè suo figlio Antonio?

«Il primo insegnamento che ho dato a mio figlio è stato l’onestà, perché lavorare con metalli preziosi e costosi impone di essere onesti prima di tutto con sé stessi, poi con gli altri perché i clienti sono i nostri datori di lavoro. Inoltre, gli ho insegnato l’umiltà. L’arte dell’orafo è simile a quella del vasaio: l’oro e l’argento liquidi sono come la creta duttile, una materia che non è solo nelle mani dell’artista, ma che è stata anche nelle mani del Creatore per dare forma all’uomo. Ad Antonio, ho sempre detto di sentirsi uomo tra gli uomini, tutti uguali per diritti ma unici e irripetibili come persone. Le doti di ciascuno sono doni di Dio di cui siamo responsabili e liberi nella gestione». 

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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