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Quando ci disse: «Come vorrei una Chiesa più vicina alla gente»



La copertina di Credere con l’intervista a Francesco.

Ripubblichiamo l’intervista che papa Francesco ha concesso nel gennaio 2024 al direttore di Credere Vincenzo Vitale (pubblicata l’11 febbraio 2024). Riletta oggi suona quasi come un testamento.

di Vincenzo Vitale

Varcare il portone di Sant’Anna e salire le scale del Palazzo apostolico per incontrare papa Francesco, che a sorpresa mi ha chiamato due giorni prima per concedere l’intervista a Credere, è una grande emozione, non lo nascondo. Trovarsi faccia a faccia con il Santo Padre non è cosa da tutti i giorni. Arrivo un po’ emozionato, pensando a come salutarlo e come iniziare, ma bastano il suo saluto, affabile e semplice insieme, a stemperare la tensione e a mettermi subito a mio agio. Mi viene in mente una frase di sant’Agostino che riflette sul suo rapporto con i fedeli: «Per voi sono vescovo, con voi sono cristiano». Ho la sensazione che le due dimensioni convivano serenamente nel Vescovo di Roma che “si porge” in modo così fraterno. Un pastore memore della sua appartenenza e vicinanza al popolo di Dio. Il cui contatto tanto gli manca, come ci confiderà nell’intenso colloquio che ha dedicato a Credere

Santità, qual è il suo personaggio “del cuore” tra quelli del Vangelo, quello con cui si identifica molto e a cui ritorna spesso?

«Non c’è uno solo, ci sono diversi che mi piacciono tanto. Uno è Lazzaro, perché era morto ed è stato risuscitato. Questo mi fa pensare alla mia vita di conversione, a come il Signore mi ha tolto dalla tomba. Un altro personaggio è la vedova di Nain che piange il figlio morto: la sua capacità di piangere le persone che si perdono. Mi piace anche la donna che tocca di nascosto il mantello di Gesù (Marco 5,25-34). A volte nella preghiera facciamo queste cose un po’ audaci perché il Signore ci ascolti. Sto menzionando diverse donne, curioso, no? Poi Marta: Maria sì è contemplativa, ma quella che lavora e porta avanti le cose è Marta. Mi ricorda molto uomini e donne che lavorano tanto e portano avanti nella Chiesa il lavoro per la fede. E infine gli apostoli: Pietro, con la sua “sagiatezza” (audacia, ndr), la contemplatività di Giovanni. Ho detto “mi piacciono”: meglio, li sento vicini. E poi dei santi moderni, san Francesco».

In passato la Chiesa è sempre stata capace di parlare alle persone semplici, e di proporre una fede “popolare”. In questo tempo, invece, le parole del cristianesimo sembrano non parlare più ai nostri contemporanei. E specialmente ai giovani. Come raggiungere oggi il cuore delle persone?

«Qui non c’è una risposta universale. Ci sono paesi, del Terzo mondo o latinoamericani, dove ci sono esperienze pastorali che parlano alla gente semplice: parlano ai giovani con il linguaggio dei giovani…. Ci sono anche realtà “sofisticate”, che non arrivano, movimenti un po’ “esquisiti” (raffinati, ndr) e che tendono a formare una “ecclesiola” (conventicola, ndr), di persone che si sentono superiori. Questo non è il santo popolo fedele di Dio. Il popolo di Dio è fatto di credenti che sanno di essere peccatori e vanno avanti. Io non ce l’ho con i movimenti, che fanno tanto bene. Il movimento è buono quando ti inserisce nella Chiesa reale, ma se sono selettivi, se ti staccano dalla Chiesa, se ti portano a pensare che tu sei un cristiano speciale, questo non è cristiano».

Ci avviciniamo al Giubileo del 2025. Lei ha voluto un anno di preparazione incentrato sulla preghiera. Perché?

«Ho chiesto di intensificare la preghiera per prepararci a vivere bene il Giubileo che è un evento di grazia. Abbiamo bisogno di riscoprire il valore e il bisogno della preghiera, a livello personale, nella vita della Chiesa e del mondo. È il Signore che ci ha detto di pregare! “Pregate, pregate, chiedete e vi sarà dato”. Non dimentichiamo questo! Non dimentichiamo di bussare alla porta!».

Negli ultimi tempi l’abbiamo vista affaticata, muoversi col bastone e in carrozzina. La “cultura dello scarto” penalizza chi non sta al passo. Lei come vive la sua fragilità, le limitazioni?

«La Chiesa si governa con la testa, non con le gambe. Certo, nonostante le limitazioni si può andare avanti. Quanto a questo tema, dobbiamo aiutare nella pastorale le persone che sono limitate: evitare di nasconderle e “archiviarle”. E si potrebbe pensare a qualche attività nella Chiesa per queste persone, perché possano sentire l’appartenenza. Un cristiano non è mai “archiviato”. La “cultura dell’archivio” non è una cosa cristiana».

Lei ha sempre avuto una particolare predilezione per la gente e la fede dei semplici. C’è qualche situazione, qualche incontro dei tanti avvenuti durante il Pontificato che conserva in particolare nel cuore?

«Ricordo due episodi, uno qui a Roma, uno in Argentina. A un’udienza due anni fa, una signora che mi faceva segno di avvicinarmi e mi ha chiamato, io sono andato. Un’anziana contadina, aveva 87 anni, ma non li mostrava. Le ho chiesto cosa mangiava per restare così: ravioli, mi ha risposto, ravioli che faceva lei… e mi dava la ricetta dei ravioli. Le ho chiesto di pregare per me. Mi ha assicurato che lo avrebbe fatto, ma mi ha detto di stare attento. Allora le ho chiesto se pregava per me o contro. E ha detto: “No, Santità, non sbagli, lì dentro le pregano contro”. La saggezza, il coraggio dei vecchi!

L’altro episodio invece in una baraccopoli di Buenos Aires, dove andavo a celebrare la Messa. Durante il viaggio si è saputo che era morto Giovanni Paolo II. Con la gente semplice della baraccopoli si parlava dell’elezione del nuovo Papa. Una donna anziana mi ha chiesto se io potevo diventare Papa. “Sì”, le ho detto. Allora mi ha dato un consiglio: di comprarmi un cagnolino. Le ho chiesto perché. “Prima di mangiare dia il cibo al cagnolino e aspetti un po’…”».

Nessun Papa prima di lei aveva dato spazio e incarichi rilevanti alle donne, all’interno della Curia romana. Lei ripete più volte che la questione del “volto femminile” della Chiesa non è soltanto un riequilibrio di potere. Cosa deve ancora scattare perché si realizzi una vera partecipazione delle donne alla vita della Chiesa?

È importante qui tenere presente il principio petrino e il principio mariano. Il principio petrino riguarda il ministero: Pietro, i vescovi e i presbiteri. Il principio mariano è ecclesiale, è l’appartenenza alla Chiesa: perché la Chiesa è donna, è sposa. Pietro non è donna, non è sposa. È più importante la Chiesa-sposa che Pietro-ministro! Aprire alle donne il lavoro in Curia è importante. Anche le donne che aiutano il ministero: c’è per esempio una congregazione di suore peruviane che vanno nei piccoli paesi dove non c’è il prete, portano avanti le parrocchie, battezzano (anche un laico può farlo), danno la Comunione, fanno i funerali… finché non arriva un parroco. Ma non è la ministerialità della donna la cosa più importante, fondamentale è invece la presenza della donna. Nella Curia romana ora ci sono diverse donne e ce ne saranno di più, perché fanno meglio di noi uomini in certi incarichi. La governatrice ad esempio, suor Raffaella Petrini, sta facendo cose bellissime. Anche le donne che sono nel dicastero per eleggere i vescovi… sono tutti posti che hanno bisogno delle donne. In questo c’è un processo in corso. Ci sono diverse segretarie, pensi ad suor Alessandra Smerilli al dicastero dello sviluppo umano integrale, altre al dicastero dell’evangelizzazione, dei religiosi…».

Si rende conto di aver avviato un cambiamento epocale?

«No davvero! Me lo dicono, sì…. Vado avanti come posso».

Credere. Per vivere l’avventura della fede” è la testata della nostra rivista. Vogliamo aiutare la gente nel suo cammino di fede e a vivere il Vangelo con gioia. A lei cosa dà gioia in questo momento?

«Mi dà gioia la gente! Io quando sono con la gente sono felice. Quando sono con l’amministrazione (del Vaticano, ndr), sì, faccio quello che devo fare, ma quando sono con la gente, è un’altra cosa… Mi piacerebbe poter andare per strada liberamente, ma non è possibile. L’ho fatto alcune volte, per andare dall’ottico o per andare a comprare i dischi, ma di nascosto. Io imparo dalla gente! Quando trovi un padre di famiglia con un guadagno mensile al limite, che viene a confessarsi e ti dice che quando torna a casa è stanco e non può stare con i figli perché già dormono e la mattina si alza prima che si sveglino; e poi ti confessa che il suo piacere, la domenica, è giocare con i figli… lì impari! La gente soffre tanto… noi chierici a volte viviamo nell’agio… occorre vedere il lavoro, la sofferenza della gente…».

Santo Padre, dopo la pubblicazione della Dichiarazione Fiducia supplicans ci sono state tante reazioni. Al di là delle singole questioni qual è l’essenziale di quanto vi è scritto? Qual è il cuore del documento?

«I peccati più gravi sono quelli che si travestono di un’apparenza più “angelica” (cfr. 2Corinzi 11,14). Nessuno si scandalizza se do la benedizione a un imprenditore che magari sfrutta la gente: e questo è un peccato gravissimo [qui la voce si fa molto seria, ndr]. Mentre ci si scandalizza se la do a un omosessuale…. Questo è ipocrisia! Ci dobbiamo rispettare tutti. Tutti! Il cuore del documento è l’accoglienza».

Alcuni obiettano: come si può benedire una coppia di gay che si presenta?

«Ma io non benedico un “matrimonio omosessuale”, benedico due persone che si vogliono bene e gli chiedo anche di pregare per me. Sempre nelle confessioni, quando arrivano queste situazioni, persone omosessuali, persone risposate, prego e benedico sempre. La benedizione non va negata a nessuno. Tutti, tutti, tutti. Attenzione, parlo di persone: chi è capace di ricevere il Battesimo».

Vuole lasciare un saluto ai lettori di Credere?

Mi piace che siate lettori di questa rivista che fa tanto bene. Il bello di questa rivista è che apre orizzonti. Avere orizzonti è futuro!

 

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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