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Portacomaro piange il “suo” Papa: «Ci ha insegnato la speranza»


Quando il Conclave aveva eletto Jorge Mario Bergoglio, Nora Sallaku si era procurata una grossa immagine del neo-Pontefice e l’aveva posizionata all’ingresso del suo negozio di generi alimentari. Nel 2009 era approdata dall’Albania a Portacomaro, duemila anime in provincia di Asti. Anche lei arrivava «dalla fine del mondo», un po’ come quel gesuita argentino che il 13 marzo del 2013 si era affacciato per la prima volta dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro pronunciando col sorriso il suo saluto al mondo: «Fratelli e sorelle, buonasera».

«Oggi ho l’amaro in bocca – spiega Nora – perché non è morto solo il Papa dei poveri, ma anche e soprattutto una persona dolce». Sono le stesse note caratteriali delle gente del posto. Quando li ha incontrati per la prima volta, Nora ha deciso di restare: «Qui le persone sono gentili e rispettose, e i miei tre ragazzi sono nati e cresciuti in paese». Nei primi anni del secolo scorso, però, questi non erano luoghi di immigrazione. 

Giovanni Angelo Bergoglio aveva salutato Portacomaro nel 1906. Se n’era andato a Torino, dove aveva incontrato la moglie Rosa Vassallo, originaria della Liguria. Si erano sposati nel 1907 alla chiesa di Santa Teresa, a due passi dal centro storico. Nel 1908 era nato Mario, papà del Pontefice. Dopo un ritorno nell’astigiano tra il 1918 e il 1929, la famiglia aveva imboccato la via dell’Atlantico in cerca di fortuna. Direzione Argentina. 

Sulle terre vergini della Pampa i piemontesi hanno costruito aziende agricole, imprese, città intere. Arrivavano dalle campagne dell’astigiano o del cuneese, temprati dalla miseria e dalla fame che neanche il lavoro della terra riusciva a domare. Ancora oggi, i discendenti cucinano la bagna caoda e conservano nella parlata qualche calco dialettale che si impasta con lo spagnolo. E tengono vivo il legame con le terre d’origine.

Bergoglio non faceva eccezione. In paese ricordano ancora la visita che fece nel 1999 da cardinale. Prese in mano un pugno di terra, lo mise in un sacchetto e disse «Io vengo da qui». Tornò nelle campagne dell’astigiano nel 2022 per i novant’anni della cugina Carla Rabezzana. Oggi, l’anziana donna deve fare i conti con la tristezza: «Non riesco ad andare a Roma per i funerali, sono infortunata – spiega dalla finestra del suo appartamento a Portacomaro, da lunedì presidiato dalla Polizia per prevenire l’assalto di stampa e curiosi – e poi, ormai, non ho più ragione di andarci: lui non c’è più». Bergoglio la chiamava per capire come stesse, e per scherzo la chiamava «la mia vecchietta». Non ha mancato l’appuntamento neanche durante le ultime settimane di vita: «Mi diceva: “Ci facciamo compagnia durante la convalescenza” – ricorda Carla – e quindi parlavamo mezz’ora. Quando venne qui nel 2022 mi regalò uno dei più bei giorni della mia vita. Il pensiero di non rivederlo più è difficile da sopportare». 



Ora a tenere vivo il legame con l’Argentina e coi Bergoglio c’è il figlio di Carla: «Si sente spesso con una nipote di Giorgio». A Portacomaro, infatti, Bergoglio si chiama così, e il suo volto è ovunque. All’ingresso dell’alimentari di Nora, ma anche davanti alla sede degli Alpini e al circolo del Paese. Dove, nel 2022, Bergoglio lasciò anche una dedica: «Qui – scrisse – mio nonno andava a giocare alle carte». Sulla ringhiera di un balcone qualcuno ha anche affisso uno striscione: «Francisco querido Portacomaro esta contigo».

Ora di lui restano i ricordi, ma anche i suoi discorsi di pace forse troppo coraggiosi per essere ascoltati dai signori della guerra: «Il suo è stato un messaggio universale di amore, fratellanza, pace – riflette Carla con la voce rotta dall’emozione – e purtroppo è morto senza vedere la fine dei conflitti». 

Dal suo appartamento parte un vicolo che si arrampica fino in centro paese. C’è l’alimentari di Sallaku, il ristorante, il bar, le poste. In giro non si parla d’altro: «I suoi valori ci resteranno nel cuore – spiega il ristoratore Roberto Catalano – e sappiamo che ha fatto tutto quello che poteva».

Una viuzza in salita porta nella piazzetta che riunisce la parrocchia e il municipio, che sull’asta esibisce la bandiera a mezz’asta in segno di lutto. In chiesa c’è don Luigino Trinchero, giovane sacerdote che nei giorni scorsi ha riunito la comunità in un momento difficile: «Papa Francesco ha messo il Vangelo al centro e ci ha lasciato un messaggio di speranza – racconta -. Qui le persone si sentono molto vicine a lui, e ora siamo sgomenti. Ci ha insegnato il valore della solidarietà, e ora sta a noi continuare a metterlo in pratica».   

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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