L’attore comico Giacomo Poretti, in occasione del Giubileo degli artisti, racconta perché si è lanciato nella sfida di aprire due teatri a Milano. “Ci poniamo sempre meno – spiega – le domande fondamentali”. E commentando le parole del Papa che ha invitato gli artisti ad educare alla speranza, confida: “Ho provato imbarazzo quando un ragazzo mi ha detto che facendolo ridere gli avevo salvato la vita”
Fabio Colagrande – Città del Vaticano
“La settimana scorsa un ragazzo, un trentenne, mi prende da parte e mi dice: ‘Ti devo ringraziare perché mi hai salvato la vita. Quando la mia vita era molto difficile e non sapevo più cosa fare, mi hai fatto ridere e mi hai salvato’ “. Giacomo Poretti, all’anagrafe “Giacomino”, lombardo della classe ’56, componente del trio comico “Aldo, Giovanni e Giacomo”, si racconta in occasione del Giubileo degli artisti, e ricorda un incontro che lo ha reso felice e imbarazzato allo stesso tempo. “Mi sono sentito a disagio perché quando fai gli sketch non pensi mai che abbiano questo effetto”.
Una risata che dà speranza
“Educare alla bellezza significa educare alla speranza”, ha scritto Papa Francesco nell’omelia per la Santa Messa in occasione del Giubileo degli artisti. Poretti spiega con questo aneddoto quanto anche la comicità possa rianimare la speranza, ma lo fa senza intellettualismi. Come i suoi colleghi del trio, a dispetto del successo televisivo e cinematografico, resta un artigiano della risata, un attore con i piedi sul palcoscenico, autentico e schietto. Da giovane ha lavorato in fabbrica – “nella mia famiglia bisognava lavorare per forza” – poi in ospedale come infermiere a Legnano – “ero il migliore a fare le endovene” – e infine ha provato la strada dello spettacolo.
L’incontro con Francesco
“Il vostro talento è un dono, un dono prezioso (…) diffonde pace, nei cuori, tra le persone, aiutandoci a superare le difficoltà e a sopportare lo stress quotidiano”, ha detto Papa Francesco agli artisti dell’umorismo ricevendoli in Vaticano nel giugno 2024. Giacomo era tra i duecento comici e comiche, arrivati dall’Italia e dal mondo, ad ascoltare le parole di Papa. “Mi ha colpito il coraggio di Francesco, la convocazione di persone che si occupano della risata, perché per secoli il riso è stato messo all’indice”, racconta. “E mi ha colpito quello che ci ha detto quel giorno: di non avere paura dell’ironia, della comicità, perché portano buon umore e non è una cosa banale, è importante per tante persone che ne hanno bisogno”.
Il sarcasmo non mi piace
Nel saggio “Breve storia della risata”, Terry Eagleton, classificando i vari tipi di umorismo, ricorda anche la modalità del ridere malevolo, per beffa, un modo di sentirsi superiori che può arrivare fino all’estremo del sarcasmo, che secondo l’etimo “lacera le carni”. “Anche Francesco in quell’occasione – ricorda il comico – ci disse che l’umorismo non deve offendere, o ‘inchiodare le persone ai loro difetti’. A me non piace il sarcasmo, perché come dice anche la preghiera del buonumore di San Tommaso Moro, citata spesso dal Papa, bisogna guardare prima a sé stessi. I primi a essere giudicati e a essere messi alla berlina dobbiamo essere noi. Dopodiché si può rivolgere lo sguardo sugli altri, ma mai arrivare all’umiliazione”.
Quella scelta folle nella “città che sale”
Dopo tre decenni di spettacoli teatrali, trasmissioni televisive e cinema, il trio composto da Giacomo, Aldo Baglio e Giovanni Storti, non si è ancora sciolto. Poretti ci tiene a sottolinearlo: “No, niente affatto, non ci siamo separati! Ma, dopo trent’anni, i rapporti così duraturi hanno bisogno di reinventarsi, creare delle strade parallele che non mettano in discussione quella principale, ed è quello che abbiamo fatto. Aldo si è messo a fare dei film da solo, Giovanni si occupa di sostenibilità”. E Giacomino? Ha fatto forse la scelta più folle: aprire un teatro a Milano, anzi due, in un periodo in cui i teatri spesso chiudono. Nel 2019 il “Teatro Oscar” e lo scorso anno il “Teatro degli Angeli”, tutti e due con gli amici Luca Doninelli e Gabriele Allevi. “È la cosa a cui tengo maggiormente in questa fase della mia vita”, confessa. “Sentivamo la necessità di creare un luogo, una casa, dove poter dire delle cose – spiega – e cioè attraverso gli spettacoli invitare la città di Milano, che allora come adesso è in grandissimo fermento, – per citare un famosissimo quadro di Boccioni è ‘La città che sale’ – a domandarsi il senso di questo andare e la direzione in cui sta andando”. E Giacomo rivela l’ambizione più alta di questa nuova fase della sua carriera artistica. “Io sono convinto, e anche i miei soci lo sono, che siamo in un momento di ‘emergenza spirituale’, voglio dire che sempre meno ci poniamo le domande fondamentali, perché siamo qua, chi lo ha voluto, eccetera eccetera”.
La fregatura di avere un’anima
“Nel 2018 – racconta ancora – avevo interpretato il monologo ‘Fare un’anima’ che aveva avuto molto successo, quindi ho sentito la necessità di fargli un restyling e l’ho chiamato ‘La fregatura di avere un’anima’. “Sì, perché un genitore del 2025 quando nasce un bambino si preoccupa di farlo diventare un architetto, un ingegnere, un influencer – spiega l’autore – ma all’anima non ci pensa proprio: è una parola che rischia di morire”. “E come se la modernità ci dicesse: vabbè, non ti occupare di queste cose antiche, un po’ stupidine, che non sono utili”, commenta Giacomo. “Ma noi percepiamo tutti che anche se facciamo un sacco di cose belle e guadagniamo un sacco di soldi, in fondo non siamo davvero felici”.
“Con questo spettacolo – spiega Poretti – non vogliamo dare risposte, ma suscitare un dibattito”. “A dicembre ho fatto solo tre date all’Oscar e le richieste sono arrivate da tutta Italia”. Insomma, se c’è un’emergenza spirituale, c’è anche pubblico che vuole ridere facendosi domande “spirituali”. Perché, a volte, anche un comico può salvarti la vita.