In occasione della Giornata mondiale della Consapevolezza sull’Autismo, istituita dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, per il 2 aprile, rilanciamo Pizzaut, il miracolo dell’inclusione, articolo di Francesca Amé pubblicata sul settimanale Credere (12/2024), in cui Nico Acampora racconta come e perché ha fondato Pizzaut, il primo ristorante gestito da persone autistiche. Un progetto apprezzato da Papa Francesco come dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e presentato anche all’Onu, dove lo scorso aprile Acampora e i suoi ragazzi hanno servito le pizze alle delegazioni presenti a New York.
«Sono una persona in cammino», dice Nico Acampora al telefono. Più che in cammino, di corsa: parla veloce mentre si sposta con la macchina da uno all’altro dei ristoranti che ha aperto. È sera, la sua giornata è ancora lunga. Acampora, 54 anni e un volto inconfondibile (occhiali neri, barba lunga, sorriso aperto) è il papà di Pizza Aut, il primo ristorante in Italia gestito da giovani autistici secondo il motto “nutriamo l’inclusione”. Pizza Aut esiste dal 2017 prima in sordina, attraverso qualche incursione in ristoranti dell’hinterland di Milano, poi con il primo locale a Cassina de’ Pecchi, appena fuori dalla metropoli lombarda, e poi con un secondo ristorante a Monza. Pizza Aut ha sfornato pizze ovunque (e sono ottime!): a fine gennaio 2024 lo staff è andato a Bruxelles, al Parlamento europeo, servendo pizza ai parlamentari, inclusa la presidente Roberta Metsola. Pizza Aut è stata anche nei ristoranti di Palazzo Madama e di Montecitorio, tanto che il presidente Sergio Mattarella nel suo ultimo discorso di fine anno ha citato proprio il progetto di Acampora come prodigioso esempio di inclusione «L’educazione è tale solo se cambia le cose», dice convinto Acampora, uno che la materia la conosce bene. Negli anni Novanta operava nei Centri di Aggregazione Giovanile della Martesana: «Ho lavorato diversi anni con disabili gravi e ciò che mi mandava fuori di testa era che l’unico obiettivo proposto fosse quello di mantenere le loro capacità residue. Io invece volevo cambiare tutto, volevo cambiare in meglio il mondo», racconta.
La rivoluzione è arrivata a casa, nel 2010, inaspettata. Al suo secondogenito, Leo, che oggi ha 15 anni ma allora ne aveva solo 2, viene diagnosticato l’autismo. «Quando l’ho saputo sono svenuto», ricorda Acampora, «piangevo come un disperato: mia moglie Stefania, infermiera al San Gerardo di Monza, in quel periodo è stata la roccia della nostra famiglia (la coppia ha anche una figlia, Giulia, di 17 anni, ndr). Per reazione, lavoravo tantissimo fuori casa: avevo una mia società che coordinava progetti con adolescenti disagiati, ero sempre impegnato». Poi, in una delle tante notti senza sonno, l’intuizione: Acampora ricorda la serenità del piccolo Leo in cucina ogni volta che impasta la pizza, e capisce che quell’attività così semplice e preziosa può essere “la risposta”. Non solo per Leo, ma per tanti ragazzi come lui. «Ho coinvolto qualche giovane autistico, insegnandogli a fare l’impasto, poi siamo cresciuti in numero e capacità. Gli adolescenti con cui lavoravo mi hanno aiutato con le grafiche per i menù: giravamo con un furgoncino nella zona e preponevamo le nostre pizze».
Nella storia di Nico Acampora ci sono tante di quelle coincidenze che si fatica a pensare sia tutto un caso: dopo la sua partecipazione al noto programma televisivo Tu sì que vales, i ragazzi di Pizza Aut cominciano a essere ospitati sempre più spesso nei ristoranti della zona e il progetto diventa per Acampora il lavoro principale. «Mio padre mi ha insegnato che se esiste un problema, significa che ci sono almeno cinque soluzioni: sta a te trovarle», continua Acampora, che oggi dà lavoro a 35 giovani autistici nei due locali che ha aperto. «Parliamo di lavoro vero, non di un passatempo: un lavoro a tempo indeterminato, con uno stipendio. Un lavoro che dimostra a questi ragazzi che non sono un peso per la società, ma una risorsa».
Ora Acampora è già alla prossima sfida: esportare il modello Pizza Aut. «L’idea me la suggerì tempo fa Maria De Filippi che mi disse: “Perché ti fermi a un ristorante? Fai un franchising!”. Allora mi fece ridere, ma aveva ragione. Il locale però richiede investimenti ingenti e una gestione complessa: la mia idea è invece di creare una flotta di pizza-autobus, truck food finanziati da noi, da dare in gestione a varie associazioni, una per ogni provincia. Cominceremo con la Lombardia. Ogni associazione dovrà impegnarsi ad assumere 4 o 5 ragazzi autistici. Perché il lavoro è dignità», spiega, come un fiume in piena.
Rallenta solo quando evoca l’incontro più importante: nell’aprile del 2022, insieme ai suoi ragazzi, è stato ricevuto in udienza privata da papa Francesco. «Sono un semplice educatore di provincia, uno cresciuto a Cernusco sul Naviglio tra le case popolari, sono un uomo confuso, fragile, una persona in cammino. La morte di mio padre e la malattia di mia madre quando ero molto giovane mi hanno segnato: ero un ragazzo arrabbiato col mondo e con Dio. A lungo mi sono tenuto a debita distanza dalla fede: Pizza Aut ha fatto il miracolo, mi ha permesso di incontrare persone straordinarie. L’incontro con papa Francesco è stato un detonatore pazzesco. Di quella giornata ho ricordi nitidissimi, come quel bambino autistico che in udienza continuava a piangere e si calmava solo tra le gambe del Santo Padre che lo ha tenuto lì, serenamente. E poi le parole di stima del Papa che ha detto ai miei ragazzi: “State dimostrando che il disabile può essere un buon samaritano”. Avevamo cucinato la pizza ai senza tetto di piazza San Pietro e ricordo che uno di questi, per ringraziarci, disegnò sul cartone il volto di Cristo. Mi emoziono ancora, se ci penso».
Ci sono poi due persone che Acampora cita di continuo perché «incarnano per me la vera fede»: sono monsignor Luca Raimondi, vescovo ausiliare di Milano, e suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità della Cei, nominata dal Papa consultore del Dicastero vaticano per la comunicazione. Con entrambi c’è frequentazione assidua, reciproca stima, solida amicizia. «Non ho mai vissuto l’autismo di mio figlio Leo come una disgrazia e ho smesso di angosciarmi per quello che tutti chiamano il “dopo di noi”. Io voglio costruire questo “dopo” “durante noi”! Il lavoro può fare miracoli. L’altra sera la madre di un ragazzo autistico mi ha detto che il Signore mi ha mandato Leo affinché inventassi Pizza Aut. Non mi piace questo pensiero, non credo in un Dio vendicativo. Se c’è, Dio è bene, sempre».