Nella classificazione dei colori contemporanea, che fa riferimento a diverse scale, riconosciute a livello internazionale, la porpora è un colore rosso scuro, più scuro di quello vestito attualmente dai cardinali, al quale, invece, le sartorie ecclesiastiche fanno riferimento come “rosso cardinale” o “ponsò”, dal francese settecentesco “ponceau”, e che indica un colore rosso papavero, cosa che non impedisce di chiamare tuttora “porporati” i cardinali e porpora, per sineddoche, figura retorica che indica la parte per il tutto, la loro veste.
Nell’abito religioso il rosso cardinale si distingue dal “paonazzo”, il violaceo che caratterizza invece i vescovi. Quando capita che in tema di porpora si crei nel comune sentire un fraintendimento tra i due colori, accade in genere per un malinteso legato alla traduzione dell’inglese “purple”, stessa radice latina di porpora, che indica invece un colore viola. Storicamente la porpora è il colore più prezioso dell’antichità, che nel I millennio a. C. fu alla base dell’impero commerciale dei Fenici.
Dai Fenici, IL COLORE PIù prezioso del mondo antico, segno di regalità
Una storia, di cui c’è traccia negli scritti di Teopompo, storico greco del IV secolo a. C., e nella Naturalis historia di Plinio il Vecchio, che Tommaso Gnoli, nella voce Treccani dedicata ai Fenici e destinata ai ragazzi, sintetizza rapidamente ma efficacemente così: «Il termine fenicio deriva dal greco phòiniks che significa “rosso”. Tale denominazione, che ritroviamo già in Omero, è particolarmente significativa in quanto fortemente legata alla merce più preziosa e importante che i Fenici esportavano in Grecia e in tutto il Mediterraneo: la porpora, un prezioso pigmento che veniva estratto da molluschi del genere Murex, alloggiati in conchiglie che vivevano nel mare prospiciente le coste del Libano e che i Fenici avevano imparato molto presto a utilizzare su scala industriale per tingere i tessuti. Il mollusco veniva spremuto e mescolato al sale, quindi esposto al sole per tre giorni. Il succo estratto veniva fatto bollire molto lentamente in grandi recipienti di piombo finché il liquido non fosse evaporato per metà. Solo a questo punto vi si potevano immergere i panni che si dovevano colorare. Il risultato erano tinte diverse e brillanti, dal rosa pallido al viola più intenso, a seconda del materiale e del tempo di immersione. Il processo di estrazione di questa sostanza, lungo e complesso, faceva sì che le stoffe trattate con la porpora fossero molto costose, e il loro utilizzo venne a lungo associato con l’idea della regalità».

Francesco, al momento dell’elezione esce senza mozzetta rossa.
Mondo romano, mondo cristiano, il riferimento evangelico
Non per caso nei Vangeli della Passione è «di porpora» (Gv. 19,2) o «scarlatto» (Mt. 27,28) il mantello gettato sulle spalle di Gesù in segno di scherno e di allusione alla sua fraintesa regalità terrena. «Il colore porpora in antichità rappresentava la regalità», scrive Antonello Battaglia nel saggio L’abito dell’anima. Materiali e simboli delle vesti religiose, Quaderni del Dottorato in Storia d’Europa, 2015. «Durante il periodo della Roma repubblicana – in cui l’avversione all’istituzione regale era notoriamente diffusa – il mantello di questo colore era concesso ai condottieri soltanto nel giorno» in cui un condottiero vittorioso passava sotto l’arco di trionfo, «ed era vietato a tutti gli altri cittadini. I senatori indossavano il laticlavio bianco con una striscia larga di porpora, mentre ai cavalieri era permessa una striscia più sottile. Il primo a indossare abitualmente la porpora fu Gaio Giulio Cesare in qualità di dictator perpetuus e in età imperiale il colore, simbolo di potere, si diffuse largamente tra gli augusti e i loro cesari. Anche in diversi passi del Vecchio Testamento, i potenti e i ricchi appaiono vestiti di porpora e bisso».
Ma l’abito dei cardinali preserva il suo colore scarlatto non in quanto allusione al prestigio della “carica” come si potrebbe pensare rinviando all’epoca del potere temporale della Chiesa o alle consuetudini degli antichi, ma soprattutto come riferimento al sangue e al martirio di Cristo.

Il significato dell’abito cardinalizio nelle parole dei Papi: fino al martirio
«Cari Fratelli», ricordò Benedetto XVI in occasione del Concistoro per la creazione nuovi cardinali del 24 novembre 2007, «entrando a far parte del Collegio dei Cardinali, il Signore vi chiede e vi affida il servizio dell’amore: amore per Dio, amore per la sua Chiesa, amore per i fratelli con una dedizione massima ed incondizionata, usque ad sanguinis effusionem, (fino allo spargimento di sangue, ndr), ossia fino al martirio, come recita la formula per l’imposizione della berretta e come mostra il colore rosso degli abiti che indossate».
Parole non troppo diverse da quelle pronunciate da Giovanni Paolo II in analoga circostanza il 26 novembre 1994. « È un servizio esigente, da prestare con la massima dedizione “usque ad effusionem sanguinis”, come afferma la formula per l’imposizione della berretta e come ben mostra il colore rosso collegato con la dignità cardinalizia».
Mentre Francesco in diverse occasione ha posto l’accento sul significato della porpora come servizio, mettendo in guardia dalla tentazione di leggervi il prestigio: «Cari Fratelli, tutti noi vogliamo bene a Gesù, tutti vogliamo seguirlo, ma dobbiamo essere sempre vigilanti per rimanere sulla sua strada», diceva nell’omelia per il concistoro pubblico del 2020, «Perché con i piedi, con il corpo possiamo essere con Lui, ma il nostro cuore può essere lontano, e portarci fuori strada. Pensiamo a tanti generi di corruzione nella vita sacerdotale. Così, ad esempio, il rosso porpora dell’abito cardinalizio, che è il colore del sangue, può diventare, per lo spirito mondano, quello di una eminente distinzione. E tu non sarai più il pastore vicino al popolo, sentirai di essere soltanto “l’eminenza”. Quando tu sentirai questo, sarai fuori strada».

Il cardinale Timothy Radcliffe chiede di tenere l’abito bianco dei Domenicani.
Il monito di Francesco nelle lettere ai futuri cardinali
Lo stesso concetto è tornato ricorrente nelle lettere che Francesco inviava ogni volta a ciascuno dei nuovi cardinali in vista della cerimonia: «Il Cardinalato», scriveva il 12 gennaio del 2014 in occasione del suo primo Concistoro, «non significa una promozione, né un onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio che esige di ampliare lo sguardo e allargare il cuore. (…). Perciò ti chiedo, per favore, di ricevere questa designazione con un cuore semplice e umile. E, sebbene tu debba farlo con gaudio e con gioia, fa’ in modo che questo sentimento sia lontano da qualsiasi espressione di mondanità, da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà».
Ancor più diretto sarebbe stato l’anno successivo: «Mantenersi in umiltà nel servizio non è facile quando si considera il cardinalato come un premio, come culmine di una carriera, una dignità di potere o di superiore distinzione. Di qui il tuo impegno quotidiano per tenere lontane queste considerazioni, e soprattutto per ricordare che essere Cardinale significa incardinarsi nella Diocesi di Roma per darvi testimonianza della Risurrezione del Signore e darla totalmente, fino al sangue se necessario. Molti si rallegreranno per questa tua nuova vocazione e, come buoni cristiani, faranno festa (perché è proprio del cristiano gioire e saper festeggiare). Accettalo con umiltà. Solo fai in modo che, in questi festeggiamenti, non si insinui lo spirito di mondanità che stordisce più della grappa a digiuno, disorienta e separa dalla croce di Cristo».
E da ultimo nell’ottobre 2024, scriveva: «Caro Fratello, Ti incoraggio a far sì che il tuo cardinalato incarni quelle tre attitudini con cui un poeta argentino (Francisco Luis Bernárdez) descriveva San Giovanni della Croce, ma che si addicono anche a noi: “occhi alti, mani giunte, piedi nudi”. (…) RingraziandoTi per la generosità, prego per Te affinché il titolo di “servo” (diacono) offuschi sempre più quello di “eminenza”». Parolein linea con il vissuto del Papa che ha scelto di chiamarsi Francesco e che uscendo Papa dal Conclave ha rifiutato la mozzetta rossa e per l’ultimo viaggio ha chiesto le scarpe nere e consumate della sua vita quotidiana.

Perché alcuni cardinali vestono altri colori
Nella quotidianità i cardinali vestono la talare nera profilata di rosso con zucchetto rosso e fascia rossa. Può accadere, come si è visto nelle foto ufficiali dei viaggi papali, per esempio accanto a Francesco in Myanmar, di vedere cardinali in talare bianca profilata di rosso: è un’opzione prevista per alti prelati che vivono in terra di missione o prestano servizio in zone dai climi molto caldi.
Nel Concistoro, nelle celebrazioni liturgiche in cui assistono senza officiare, ai Cardinali si chiede l’abito corale, composto: di talare scarlatta; fascia scarlatta; dal rocchetto (sorta di sopraveste a mezza gamba) bianco con pizzo, mozzetta rossa; dalla croce pettorale, zucchetto e berretta scarlatti.

La scelta dei cardinali monaci
Di recente è accaduto anche che alcuni nuovi cardinali abbiano chiesto al Papa di presentarsi al Concistoro per ricevere la berretta cardinalizia senza l’abito corale previsto, si trattava di appartenenti ad ordini religiosi che hanno chiesto il permesso di conservare la veste del proprio ordine: è stato il caso del francescano Patrick O’Malley, zucchetto rosso e saio marrone dei Francescani, nel 2006; di padre Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, che nel 2020 ha ricevuto la berretta rossa indossando l’abito francescano e ha chiesto la dispensa dalla nomina di vescovo spiegando: «voglio morire con il saio». Analogamente all’ultimo Concistoro nel dicembre 2024 la hanno ricevuta con la veste bianca dell’Ordine domenicano Jean-Paul Vesco, metropolita di Algeri, e Timothy Radcliffe, teologo inglese, predicatore, che al termine della cerimonia ha spiegato a Vatican News: «L’abito bianco? È stata un’idea del Papa, mi ha suggerito di tenerlo perché sono un fratello (domenicano ndr) e devo rimanere per sempre un fratello».
Queste scelte che ad alcuni sono parse esotiche hanno in realtà radici antiche, tra i cardinali appartenenti a ordini monastici. Anche la veste bianca del Papa, entrata da secoli nella tradizione ha radici nella scelta di conservare l’abito dell’ordine domenicano da parte di Michele Ghislieri, al secolo Antonio, eletto Papa nel 1566 con il nome di Pio V. Tra i cardinali dell’ultimo concistoro spiccavano in particolare il koukoulion, il copricapo e la veste di Mykola Bychok Arcivescovo Metropolita di Melbourne, cattolico di rito orientale di cui le vesti recano le insegne, con i suoi 45 anni i più giovane a entrare in Conclave.

Ai funerali del Papa e in Conclave
I cardinali vanno in conclave con l’abito corale, la veste, completa di zucchetto e berretta senza fiocco, che adoperano nelle cerimonie liturgiche in cui non sono celebranti. Anche nell’occasione del funerale del Papa, i cardinali non vestono il viola, come normalmente ai funerali, neppure se celebrano come abbiamo visto nell’ultimo saluto a papa Francesco, cerimonia officiata dal cardinale Giovanni Battista Re, ma mantengono la veste rossa che allude al sangue del martirio di Cristo, di cui il Papa è vicario.