In mano hanno il Manifesto di Ventotene, che, come ha spiegato qualche anno fa dalle pagine di Avvenire lo storico Agostino Giovagnoli, «costituisce una delle espressioni più significative del sogno europeista che ha animato tutta la resistenza al fascismo e al nazismo nei diversi Paesi europei» e che «propugnava un’Europa libera e unita». Ed è sotto il segno dell’unità, pur nella diversità di posizioni e caratteri, che in tantissimi hanno risposto all’appello gentile di Michele Serra di manifestare per l’Europa. Una piazza che ascolta, canta, discute, studia, fa memoria.
Circa 50mila persone, molte di più di quelle attese, sventolano le bandiere della Ue in piazza del Popolo, al Pincio e nelle strade limitrofe. «Voglio vivere sotto un cielo blu pieno di stelle», recita un cartello facendo riferimento ai colori del vessillo dei 27. Le Acli ne hanno portato una di 600 metri quadrati (nella foto). «L’abbiamo caricata sulle spalle pezzo dopo pezzo e non è stato facile», spiega Alice Manone, coordinatrice dei giovani dell’associazione Acli giovani.
«Questa bandiera ha un peso. Pesa perché porta con sé la speranza di chi crede in un’Europa giusta, inclusiva e solidale. Pesa perché non è solo un simbolo, ma un impegno. Un impegno che si traduce nella scelta di chi ogni giorno lavora per costruire comunità accoglienti, di chi dà un volto concreto alla solidarietà, di chi non si arrende davanti alle ingiustizie».
Salgono sul palco volti noti e meno noti, da Roberto Vecchioni allo scrittore Gianrico Carofiglio, da Corrado Augias a Claudio Bisio che fa un po’ gli onori di casa. Accanto al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, altri 119 primi cittadini con la fascia tricolore. Quelli toscani sono rimasti a casa per via dell’alluvione, ma mandano un loro saluto.
«Non è una manifestazione banale», dice dal palco Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio. «Questa Europa di fronte ai suoi cittadini ha perso credito», sottolinea, «ma ora, di fronte ai grandi appuntamenti del futuro, non possiamo essere divisi. Dobbiamo essere uniti, non è retorica, ma è una necessità storica. Se non saremo insieme i nostri valori, il nostro modo di vivere, la nostra civiltà si diluiranno nelle correnti della globalizzazione e tra i giganti del mondo». Parla di pace, di diplomazia, dell’Europa porto sicuro «per chi ha perduto la pace del mondo. Non una fortezza chiusa, impaurita, invecchiata che respinge – perché il binomio armarsi e respingere è un binomio che ci fa paura – ma un porto aperto, capace di accogliere, integrare, costruire futuro».
E in piazza sventolano le bandiere dell’Ucraina, della Georgia, della Palestina e di Israele. Sul palco sale una giovane afghana per ricordare il dramma delle donne del suo Paese e per ringraziare l’Europa che l’ha tratta in salvo. Salgono i ragazzi di Rondine città della pace per dire il loro sogno di diventare europei perché qui hanno scoperto che si può vedere l’umanità del proprio nemico e costruire dialogo e futuro insieme.
A sventolare le bandiere europee ci sono anche le suore paoline, “capitanate” da Nadia Bonaldo. I giovani e i meno giovani degli scout, dell’Azione cattolica, di Comunione e liberazione, di Mcl…
Una piazza che non vuole dimenticare cosa sono state le guerre, cosa ha significato l’Europa e cosa ancora dovrà significare. Soprattutto ora che, come ricorda in videocollegamento Liliana Segre, non c’è più l’ombrello americano. La senatrice ricorda ancora il «gusto dell’albicocca fresca che mi regalarono quei soldati americani quando ancora stentavo a credere che ero stata liberata, su quella strada della Germania nel 1945. Aveva il sapore più buono del mondo, il sapore della libertà. A quanto pare adesso le albicocche della libertà sono finite», sospira mentre sottolinea che questa è una cosa triste per noi, «ma forse ancora più triste per loro». E aggiunge: «Non abbiamo più lo scudo garantito dall’alleanza con gli Stati Uniti, però abbiamo una grande risorsa alla quale aggrapparci: l’Europa unita, in parte già costruita, in parte da completare». Certo, dice ancora la Segre, bisogna «mettersi nelle condizioni di fronteggiare le minacce dei nemici della pace che esistono e che non vanno sottovalutati. L’arrendevolezza non ha mai impedito le guerre, anzi ha incoraggiato i disegni di sopraffazione».
E bisogna anche «custodire con rinnovato impegno le nostre preziose libertà democratiche. Tornare a partecipare in massa alle elezioni, unire le forze democratiche senza più distrazioni e miserandi egoismi per non far mai prevalere avventure autoritarie».
Questo significa «difendere con la stessa dedizione l’altro fattore decisivo che ha reso la nostra Europa un esempio di civiltà: lo Stato sociale, la tensione incessante verso la giustizia sociale dentro una comunità solidale. Solo se la società europea saprà essere più giusta, solo se non lascerà indietro nessuno potrà davvero far sentire i cittadini europei non una somma di solitudini ma un popolo partecipe di uno stesso destino».
La piazza ascolta e applaude, le bandiere sventolano insieme di ogni colore. «Ci ho messo un po’ per capire che bandiere erano, ma è bellissimo vedere insieme alle bandiere europee così tante bandiere», conclude Michele Serra. «All’inizio sembrava un problema, invece tutte le bandiere sono state insieme in pace e in democrazia». Ringrazia tutti e rilancia: «Mi raccomando adesso non perdiamoci di vista!»