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Pd, i cattolici democratici escono allo scoperto



Domenico Delrio in un briefing con la stampa. All’evento si sono accreditati 150 giornalisti, comprese le testate estere.

Nell’anniversario dell’appello di don Sturzo ai “liberi e forti” (18 gennaio 1919) che di fatto mise fine al “non expedit” di Pio IX (il divieto di far politica per i credenti), i cattolici democratici escono allo scoperto con un evento che è andato al di là delle migliori previsioni. Gli organizzatori, a cominciare dal capofila Graziano Delrio, si aspettavano che a Palazzo Lombardia, a Milano, giungessero cinquecento persone al massimo, si entrava a inviti, ma ne sono arrivati più del doppio. C’è voglia di politica tra i credenti di area Pd, finora educatamente tenuti nell’angolo dalla segretaria di Elly Schlein. Il leit motiv di tutti gli interventi era proprio questo: fine dell’afasia. «Abbiamo vissuto un periodo in cui sembrava che la politica non avesse più bisogno di noi», ricorda Fabio Pizzul, uno dei maggiori esponenti dei cattolici democratici dentro il partito, «ma poi …». Poi è arrivata la settimana sociale dei cattolici di Trieste, che ha mostrato un mondo vivo e appassionato. I cattolici erano come errabondi sparsi nell’oscurità che si riconoscono perché la città giuliana finalmente ha acceso la luce.

Quella di Milano è la naturale prosecuzione di quell’evento. Sono affiorate diverse iniziative sparse e ora le si vuole collegare, mettere in rete, creando un movimento forte e dinamico, in un panorama in cui la politica non esce dall’ordinario, dalla politica politicante. Punto primo, ricorda la vicepresidente della Scuola di Economia civile Elena Granata: fine della “prepolitica”. Per anni, forse per decenni, quella roba vecchia andava molto di moda, era la retorica ricorrente (e rassicurante) quando si parlava del ruolo dei cattolici in politica: fermarsi al “prepolitico”, diffondere e affermare i valori della dottrina sociale della Chiesa, dedicarsi al volontariato al Terzo settore, possibilmente senza mai dichiararsi nel caso si facesse politica. Un ritornello che ha finito per rendere i cattolici irrilevanti, gradito soprattutto a chi cattolico non era e intanto occupava le poltrone. L’economista Leonardo Becchetti la butta sul culturale ricorrendo al motto della Rivoluzione francese: «Il pensiero liberale s’è preso la parola libertà, il socialismo il termine uguaglianza mentre la fraternità, caro ai cattolici, è rimasto in sacrestia». Oggi la fraternità, che significa solidarietà, reti, legami, collaborazione e che Pizzul e Becchetti chiamano “intelligenza relazionale” va rilanciata. Uno dei risultati indiretti della fermata al “prepolitico” è che la politica si è radicalizzata a destra o a sinistra, o di qua o di à, non c’è spazio per il centro, per le soluzioni moderate che di solito sono l’essenza della mediazione. Guai a parlare di centro, è come parlare del Triangolo delle Bermuda: lì i voti (e i leader) scompaiono.

Per l’ex senatore Stefano Lepri, padre dell’assegno unico («uno dei tanti esempi di come la nostra determinazione abbia raggiunto l’obiettivo»), l’incontro «vuole essere un’occasione di approfondimento e di confronto tra noi. Non abbiamo finalità e mete predestinate. Piuttosto, se vorremo, sarà l’inizio di un nuovo cammino».Un modo per rinverdire e attualizzare la cultura politica del popolarismo. C’è un secondo obiettivo, rivela Lepri: «dare continuità e rafforzare le reti di amministratori, politici, associazioni, persone appassionate e interessate al bene comune che si ritrovano in questa cultura politica».



Il secondo punto fermo è che non si deve fondare un altro partito, il partito dei cattolici. Pier Luigi Castagnetti, padre nobile del Pd (l’altro è Romano Prodi, che la pensa allo stesso modo), lo esclude categoricamente, come del resto tutti gli intervenuti, compreso Ernesto Maria Ruffini, l’ex direttore dell’Agenzia delle entrate dimessosi in polemica con la Lega, erede di una dinastia che intreccia Chiesa e politica (padra ministro, prozio cardinale, fratello capo della comunicazione della Santa Sede) cui l’assise dedica uno dei tre interventi-chiave (insieme a Castagnetti e a Prodi), indicato da molti il federatore del grande centro politico cattolico. Anzi, per Ruffini «partito e cattolico possono persono essere considerati in contraddizione tra di loro. Uno definisce la parte, l’altro l’universalità» (ma se bisogna superare il prepolitico, allora come si fa?).

Il suo intervento era molto atteso. Non è stato un discorso di investitura, ma certamente un contributo alla rinnovata azione politica dei cattolici. Ruffini, elencando una serie di no, ha prima negato di voler fondare una nuova Dc e di voler guidare alcun movimento, nemmeno una corrente. Ma si è appellato alla pluralità del dibattito politico, all’antagonismo con la destra di Salvini e della Meloni («se vinci con la destra è la destra che vince»), alla conquista di elettori non solo nell’enorme bacino degli astenuti (oggi 6 italiani su 10 non votano) ma anche tra gli altri partiti, Lega compresa. Come? Con «una visione larga, condivisa, che è la sola a poter riportare la gente al voto». Poi ha elencato, come del resto ha fatto Prodi, i principali temi che stanno a cuore ai cattolici democratici, dal lavoro all’ambiente, dalla casa alle politiche familiari. Per tutta la giornata non è stata spesa una sola parola ai diritti individuali (ad esempio le questioni etiche legate al fine vita, alla maternità surrogata, all’aborto o al mondo LGBTQ*, ma non solo) tanto cari alla Schlein. Si è parlato, questo sì, questa la priorità, di diritti collettivi: il lavoro, i giovani, il disagio degli adolescenti, la casa, la famiglia, l’Europa, la crisi demografica, la pace, il progresso al servizio dell’uomo, il volontariato, il Terzo settore. La politica di oggi è troppo “presentificata”, troppo legata al contingente e invece qualunque progetto politico serio, spiega Castagnetti, è legato al futuro.

Per Romano Prodi la politica industriale del Paese è un disastro totale. E così in collegamento da Fabriano, il distretto della carta in preda a una crisi strutturale e drammatica, l’ex presidente dell’Iri, ex premier ed ex presidente della Commissione europea, il fondatore dell’Ulivo e la tessera numero uno del Pd elenca ancora una volta i temi che farebbero crescere il Paese e l’Europa, a cominciare da una gestione ordinata, legale e umana dell’immigrazione e da un esercito europeo, così da competere con le potenze globali che insidiano il nostro benessere e fanno precipitare tanta gente nella spirale della crisi.
Nessuna allusione al centro inteso geometricamente come luogo in cui posizionarsi politicamente e nemmeno a una corrente interna al Pd. Anche se i richiami al partito popolare sono forti. Nel Pantheon di comunità democratica ci sono Sturzo, De Gasperi, papa Francesco, Mattarella, David Sassoli, Stefano Zamagni ma anche Rosario Livatino. Il beato è stato ricordatoproprio da Ruffini per una frase: «alla fine dei nostri giorni la domanda che ci sarà posta non è se siamo stati credenti, ma se siamo stati credibili».
E allora? Come esplicitare questa ritornata voglia di far politica con i suoi valori che affondano le radici fino al Vangelo? Vengono in mente i versi di Montale: “codesto oggi solo possiamo dirti: ciò che non siamo ciò che non vogliamo”. Non siamo di destra, non siamo per i sovranisti che aggrediscono l’Europa, non siamo per i movimenti nazisti supportati dai Tycoon come Musk o Zuckemberg, non siamo per un partito nuovo. Ma abbiamo tanti progetti e vogliamo tornare a imporli all’attenzione del dibattito politico. Le assise di Milano, unite a quelle di Orvieto e Brescia, sono state un segnale concreto: i cattolici in politica vogliono contare.

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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