Nell’omelia della Celebrazione della Passione del Signore, nella basilica di San Pietro, presieduta dal cardinale Gugerotti, delegato del Papa, il predicatore della Casa Pontificia ricorda che il cammino di salvezza indicato da Cristo è aperto a chiunque “sia disposto a fidarsi fino in fondo del Padre, lasciandosi guidare dalla sua volontà anche nei passaggi più oscuri” e dolorosi. Tra i fedeli il vicepresidente degli Stati Uniti Vance, con la famiglia
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Il primo celebrante sdraiato a terra, con l’assemblea raccolta in preghiera in ginocchio, all’inizio della liturgia; poi l’ostensione della Croce e la sua adorazione da parte di alcuni fedeli dopo l’omelia. Segni unici e caratteristici della Celebrazione della Passione del Signore, attraverso i quali per padre Roberto Pasolini, predicatore della Casa Pontificia, noi cristiani abbiamo la possibilità di rinnovare “una fiducia piena nel modo in cui Dio ha scelto di salvare il mondo” e possiamo anche “riconciliarci con il destino di passione, morte e risurrezione a cui la nostra vita va incontro”. Il predicatore cappuccino, alla sua prima omelia della Celebrazione del Venerdì Santo, presieduta nella basilica di San Pietro dal cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, delegato di Papa Francesco, ricorda che così noi fedeli scegliamo la “via della croce” come unica direzione possibile della nostra vita. Un “cammino di salvezza” indicato da Cristo, “aperto a chiunque sia disposto a fidarsi fino in fondo del Padre, lasciandosi guidare dalla sua volontà anche nei passaggi più oscuri”. Concelebrano più di 70 tra cardinali e vescovi e 150 sacerdoti. Tra i 4500 fedeli in basilica, in prima fila, anche il vicepresidente degli Stati Uniti, James David Vance, con la moglie Usha e i loro tre figli.
L’intelligenza della Croce
In un tempo ricco di nuove intelligenze, “artificiali, computazionali, predittive”, spiega padre Pasolini, il mistero della passione e morte di Cristo ci propone “l’intelligenza della Croce, che non calcola, ma ama; che non ottimizza, ma si dona”. In un mondo “in cui sembrano essere gli algoritmi a suggerirci cosa desiderare, cosa pensare e persino chi essere”, la Croce “ci restituisce la possibilità di una scelta autentica, fondata non sull’efficienza, ma sull’amore che si consegna”.
Il “pieno abbandono”
Nella Lettera agli Ebrei inserita nella liturgia, san Paolo scrive che le preghiere di Gesù furono da Dio esaudite per il suo “pieno abbandono”. Ma come, se non gli ha risparmiato la morte? Perché, chiarisce il predicatore, “Dio non ha risparmiato a Cristo la sofferenza, ma ha sostenuto il suo cuore, rendendolo capace di consegnarsi alle esigenze dell’amore più grande, quello che non si ferma neppure davanti ai nemici”. E il “pieno abbandono” di Gesù si può tradurre nella “capacità di prendere bene ciò che accade, di accettare con fiducia anche ciò che inizialmente appare ostile o incomprensibile”. Nella sua passione, infatti, Cristo infatti, nella sua passione, “non ha semplicemente subito gli eventi, ma li ha accolti con tale libertà da trasformarli in un cammino di salvezza”, aperto a tutti noi, se sappiamo fidarci del Padre.
Accogliere gli imprevisti dolorosi con fiducia
Padre Pasolini si sofferma così su tre momenti della Passione nei quali Gesù, ci mostra “come si possa vivere una piena fiducia in Dio senza smettere di essere protagonisti della propria storia”. Con il suo consegnarsi senza opposizione ai soldati venuti ad arrestarlo nel Getsemani, Cristo offre la sua vita liberamente, come aveva annunciato. Così anche noi “Nei momenti in cui subiamo qualche battuta d’arresto” per un imprevisto doloroso, una grave malattia, una crisi nelle relazioni, “possiamo provare ad abbandonarci a Dio con la stessa fiducia, accogliendo ciò che ci turba e ci appare minaccioso”. Possiamo farlo “presentandoci per primi all’incontro con la realtà”, un atteggiamento che non cambia, quasi mai, il corso degli eventi, “ma se vissuto con fede in Dio e fiducia nella storia che Egli conduce, ci permette di restare interiormente liberi e saldi”, e il peso della sofferenza, pur restando reale, smette “di essere inutile e inizia a generare vita”.
Abbandonare l’orgoglio, non ci si salva da soli
Il secondo momento è la manifestazione del bisogno da parte di Gesù in croce, il suo “Ho sete”, prima di morire. Il suo corpo “manifesta il bisogno più umano: quello di essere amato, ascoltato, accolto”. Anche noi, sottolinea il predicatore della Casa Pontificia, possiamo “prendere bene quegli istanti in cui emerge con chiarezza che non bastiamo a noi stessi”, quando “il dolore, la stanchezza, la solitudine o la paura ci mettono a nudo”, e siamo tentati di chiuderci, di fingere autosufficienza. Ma “chiedere ciò di cui abbiamo bisogno, e permettere agli altri di offrircelo, è forse una delle forme più alte e più umili dell’amore”. E per farlo, “occorre solo abbandonare ogni orgoglio, ma anche ogni illusione di poterci salvare con le nostre forze”.
Quanta vita c’è nel donare noi stessi
Infine, con le ultime parole “E’ compiuto”, prima di morire, Gesù ci dona interamente la sua vita e il suo Spirito, e ci rivela, chiarisce padre Pasolini, “che non è la forza a salvare il mondo, ma la debolezza dell’amore, che non trattiene nulla”. In un tempo segnato dal mito della prestazione, è difficile “riconoscere i momenti di sconfitta o di passività come luoghi possibili di compimento”, perché “quando la croce ci toglie il fiato e ci immobilizza, tendiamo a sentirci sbagliati”. La speranza, allora, è “uscire in fretta da una condizione che avvertiamo solo come una prigione”. Ma Gesù crocifisso ci mostra “quanta vita possa sgorgare da quei momenti”, nel compiere la cosa più bella: “donare finalmente noi stessi”.
Piena fiducia
Seguire l’esempio e le parole di Cristo, conclude il predicatore cappuccino, non è però semplice, “quando il male ci raggiunge, quando la sofferenza ci visita, quando ci sentiamo soli o abbandonati”. Aiuta allora “accostarci con piena fiducia alla croce”, come nella Messa della Passione, per rinnovare “una fiducia piena nel modo in cui Dio ha scelto di salvare il mondo” e “riconciliarci con il destino di passione, morte e risurrezione a cui anche la nostra vita va incontro”. Oggi, nel cuore di questo Giubileo, nel quale il Papa ci ha ricordato che “Cristo è l’ancora della nostra speranza”, “noi cristiani scegliamo la via della croce come unica direzione possibile della nostra vita”. Sappiamo bene che “le nostre forze non saranno sufficienti” ma lo Spirito Santo aiuterà la nostra debolezza per ricordarci la cosa più importante: “così come siamo stati amati, così saremo capaci di amare, gli amici e persino i nemici”. E potremo testimoniare l’unica verità che salva il mondo: “Dio è nostro Padre. E noi siamo tutti sorelle e fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore”.
Le preghiere per il Papa e per chi soffre
Poco dopo, nella preghiera universale, tutti i partecipanti hanno chiesto al Signore di concedere vita e salute a Papa Francesco, e di conservarlo “alla sua santa Chiesa come guida e pastore del popolo santo di Dio”. E per quanti si trovano nella prova, si è pregato il Padre, “perché purifichi il mondo dagli errori, allontani le malattie, vinca la fame, renda la libertà ai prigionieri, spezzi le catene, conceda sicurezza a chi viaggia, il ritorno ai lontani da casa, la salute agli ammalati e ai morenti la salvezza eterna”. La Celebrazione non prevede una Liturgia eucaristica, in quanto il giorno del Venerdì Santo non vengono celebrate Messe.