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Papua Nuova Guinea si proclama “nazione cristiana”, ma persino i cattolici non ci stanno

di Lorenzo Rossi

Una decisione storica, destinata però a far discutere. Il 12 marzo 2025 la Papua Nuova Guinea ha modificato il preambolo della propria Costituzione per riconoscersi ufficialmente come una nazione cristiana. Il nuovo testo menziona esplicitamente la Trinità: «Noi, popolo di Papua Nuova Guinea, riconosciamo e proclamiamo Dio Padre, Gesù Cristo, il Figlio, e lo Spirito Santo come nostro Creatore e Sostenitore dell’universo intero e fonte dei nostri poteri e autorità». L’emendamento è stato approvato a larga maggioranza dal Parlamento, con 80 voti favorevoli e solo quattro contrari.

L’obiettivo dichiarato è quello di rafforzare l’unità nazionale, fondandola su valori cristiani comuni, in un Paese dove oltre il 90% della popolazione professa una fede cristiana. La revisione, discussa già dal 2022, è stata fortemente voluta dal primo ministro James Marape, membro della Chiesa avventista del settimo giorno, che sogna di fare della Papua Nuova Guinea «la nazione cristiana nera più ricca del pianeta».

Ma l’annuncio ha sollevato critiche, soprattutto da parte della comunità cattolica, che conta circa 2,5 milioni di fedeli (dati aggiornati in occasione della visita di papa Francesco nel settembre 2024). I vescovi temono che l’operazione possa alimentare tensioni tra le diverse confessioni cristiane e con i culti tradizionali ancora presenti nelle zone rurali. «Il nostro popolo è già cristiano nella mentalità e nella cultura. Non abbiamo bisogno di proclamarlo per legge», ha dichiarato padre Miguel de La Kale, che ha accompagnato il Pontefice durante il viaggio apostolico nel Paese.

La Papua Nuova Guinea, infatti, è una realtà estremamente complessa dal punto di vista etnico e linguistico: vi si parlano oltre 850 idiomi diversi, un record mondiale. Secondo il cardinale John Ribat, arcivescovo di Port Moresby, questa eterogeneità rischia di essere compromessa da una lettura esclusiva del cristianesimo, che potrebbe alterare la natura laica dello Stato.

L’emendamento non istituisce una religione di Stato e non limita formalmente la libertà di culto. Tuttavia, l’adozione della Bibbia come simbolo nazionale e il linguaggio usato nella nuova formulazione costituzionale alimentano i timori di una strumentalizzazione della fede a fini politici.

Critico anche padre Giorgio Licini, missionario del PIME ed ex segretario generale della Conferenza episcopale locale: «Per diventare una nazione ricca, il cristianesimo può ispirare valori come onestà e bene comune, ma non basta. Servono investimenti, infrastrutture e istruzione», ha scritto in un editoriale per Asia News.

Secondo l’Unicef, il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà estrema e oltre il 41% dei bambini è in condizioni di indigenza. La violenza di genere è un’emergenza riconosciuta anche da Human Rights Watch, che ha definito il Paese «pericoloso per donne e ragazze». In molte aree, lo Stato è assente e sono proprio le Chiese a garantire i servizi essenziali.

Durante il suo viaggio del 2024, papa Francesco aveva lanciato un appello alla convivenza tra fedi e culture diverse, denunciando apertamente fenomeni come la “caccia alle streghe” e l’emarginazione delle donne. Un messaggio chiaro: la vera fede non si impone per decreto, ma si costruisce nella giustizia e nella pace.

 

nella foto, la visita di papa Francesco alla Holy Trinity Humanities School in Baro, vicino Vanimo, in Papua Nuova Guinea.





Dal sito Famiglia Cristiana

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