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Papa Francesco: l’eredità spirituale di fratellanza, misericordia e discernimento secondo padre Spadaro



Padre Antonio Spadaro.

«Francesco è il Papa della fratellanza, della misericordia e del discernimento. Il Vangelo trasmesso attraverso la  mistica della storia», ci dice padre Antonio Spadaro, sottosegretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione, già direttore di Civiltà Cattolica. «La prima cosa che colpisce è che sia morto il giorno di Pasqua che il suo ultimo saluto sia stato la benedizione al mondo con gli auguri al mondo nell’anno giubilare. Il primo pensiero è l’eredità di questa persona straordinaria che ha saputo coniugare insieme il ruolo di responsabilità altissima come è quello del pontificato e immediatezza di una figura e di una presenza che è apparsa sempre molto disponibile alla gente, ai colleghi giornalisti in generale a tutto il mondo. La figura di un abbraccio capace di accogliere ed estendersi a tutti».

Dodici anni di pontificato attraverso quali parole?

«Le tre parole più forti del pontificato sono quelle di fratellanza, misericordia e discernimento. Sono naturalmente le prime tre che mi vengono in mente. Fratellanza è la prima parola che Bergoglio ha detto affacciandosi per la prima volta dalla Loggia di Piazza San Pietro. Era chiaro che ci fosse fin dall’inizio del pontificato il desiderio di lavorare perché ci fosse un mondo pacifico perché Francesco vedeva già le ombre delle guerre e le tensioni internazionali. Lui parlo di terza guerra mondiale a pezzi tornando dalla Corea nel 2014 quindi stiamo parlando di 11 anni fa. Quindi l’idea della Fratellanza con una diplomazia pontificia “sartoriale” in grado di ricucire e dialogare con tutti, di mediazione nei conflitti. Probabilmente consapevole che quello che è avvenuto dopo la Seconda guerra mondiale non era, come aveva detto anche il Concilio Vaticano II, non era un periodo di pace ma di tregua. La seconda parola è Misericordia. Il suo desiderio di mostrare il volto di Dio amore di annunciare un Dio amore che fosse aperto a tutti “todos, todos, todos” che lui ha ripetuto tante volte anche nell’ultima giornata della Gioventù a Lisbona in Portogallo. E poi il toccare le ferite, ascoltare l’umanità sofferente, differente e meno probabile. I carcerati e i diseredati: in modo da mostrare il volto accogliente e misericordioso di Dio. Il terzo è discernimento che è la parole più tipicamente gesuitica che ci indica la strada per capire il linguaggio di Dio, dove si trova. Non solo cercare Dio dove pensiamo lui sia presente. Ma al contrario cercarlo dove lui è. Quindi anche nei luoghi più impensati meno ovvi. Quindi questo fiuto per comprendere la presenza di Dio nella storia concreta. E dunque anche la sua allergia a fare piani “quinquennali” teorie da applicare alla pratica. Vedere i suoi gesti straordinari e incredibili e fatti sul momento perché Bergoglio era consapevole che queste azioni fossero realizzate sul momento».

Il papa capace di comunicare con tutti

«Francesco non ha mai fatto una rigida distinzione tra credenti e non credenti. Nella sua visione per quello che ho capito la cosa più importante è l’azione di Dio in quelle persone e Lui che si muove toccando chiunque. In questo senso più che porsi in una situazione di recinto per cui il suo ruolo non è mai stato esclusivamente pastorale ma apostolico. È sempre andato fuori e dentro il recinto delle regole alla ricerca di un contatto senza limitarsi a dei luoghi precisi. Non ha mai geolocalizzato la presenza di Dio, trovandola sempre presente nel mondo dialogando con tutti. In questo senso si nota per esempio una sua certa passione per un dialogo aperto con la stampa laica dal punto di vista comunicativo. Francesco non ha mai fatto la distinzione “I nostri” e “i vostri” quello che per lui  contava di più era l’azione di Dio nella coscienza delle persone qualunque esse fossero in qualsiasi luogo».

L’eredità di Francesco nella Chiesa e nel mondo, in un mondo che cambia

«Penso che i bilanci verranno fatti con i tempo e la sua eredità si capirà in futuro. Quello che mi sembra chiaro è che quello di Francesco è stato certamente un pontificato di frutti ma certamente di semi. Tantissimi semi che sono stati fatti attraverso gesti, segni, parole, discorsi ufficiali e meno ufficiali che matureranno con il passare del tempo. Il tema della sinodalità è fondamentale. Bergoglio ha avviato un percorso sinodale che è ancora tutta da svolgersi e non si è concluso ma che ha mostrato una chiesa che cammina nella storia ed è aperta a tutte le sensibilità perché la chiesa è oggi da considerare nella sua globalità e universalità. Mentre una volta la maggior parte dei pastori venivano formati a Roma e avevano una sensibilità comune, una sorta di latinitas che era condivisa da tutti, adesso non è più così lo abbiamo visto nei sinodi, con le chiese locali che sono realtà vivaci nella dimensione planetaria. La seconda eredità, forse meno conosciuta e meno compresa, è la dimensione mistica che ha attraversato tutto il pontificato di Francesco. Il punto di riferimento di Bergoglio è stato don Pietro Favre , il primo prete gesuita di Ignazio di Loyola insieme a Francesco Saverio che era un mistico della storia e che il Papa ha canonizzato. Mistico che camminava come Pellegrino nell’Europa nel tempo della Riforma, dialogando con tutti, ma avendo sempre la percezione della presenza di Dio sempre e dovunque. Un misticismo del quotidiano nel quale farsi carico di ciò che il santo viveva ogni giorno.  Mentre la sera andava in Cappella ed era come se si liberasse di un cappotto, di un peso, immergendosi in Dio nella preghiera. E così faceva Francesco».





Dal sito Famiglia Cristiana

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