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Padre Neuhaus: uniti per un futuro di pace e uguaglianza per palestinesi e israeliani

A colloquio con il gesuita tra gli animatori del gruppo ecumenico «Una voce da Gerusalemme per la giustizia». Di fronte alla morte e alla distruzione, a morti, feriti, sfollati e affamati, è nato “una sorta di think tank ecumenico per testimoniare la vocazione cristiana nella Terra Santa promuovendo attivamente giusta pace e uguaglianza tra Israele e Palestina”

Roberto Cetera – Città del Vaticano

Per quanto la vita dei cristiani di Terra Santa sia caratterizzata da difficoltà e sofferenze (vedi il numero de L’Osservatore Romano di giovedì 3 aprile), semi di protagonismo sociale ed ecclesiale germogliano e si aprono a una nuova speranza.  È il caso del gruppo da poco nato a Gerusalemme che si è dato come nome «Una voce da Gerusalemme per la giustizia». Tra gli animatori il padre gesuita David Neuhaus, professore di Sacra Scrittura presso il seminario del patriarcato di Gerusalemme dei Latini e in passato vicario patriarcale per i cattolici di lingua ebraica e per i migranti, il quale racconta di «un gruppo sorto pressoché spontaneamente e composto prevalentemente da giovani cristiani palestinesi e guidati da due anziani qui molto amati, il vescovo luterano emerito Munib Younan e il patriarca emerito dei latini Michel Sabbah». «Abbiamo creato una sorta di think tank ecumenico — spiega il padre gesuita — che vuole testimoniare la vocazione cristiana nella Terra Santa promuovendo attivamente giusta pace e uguaglianza tra Israele e Palestina. Siamo profondamente angosciati da ciò che sta accadendo, dalla continua morte e distruzione che affliggono Gaza e il nord della West Bank, così tanti morti e feriti, tanti sfollati e affamati. Vorremmo sentire le nostre Chiese gridare ancora più forte contro questi crimini. Noi lo faremo, per la nostra gente, per svegliare i nostri leader e la comunità internazionale, e soprattutto per essere eco dei disperati appelli di Papa Francesco».

Padre David, avete pubblicato un primo documento significativamente intitolato «Dal profondo a te grido», come l’inizio del salmo 130. Cosa intendete dire?

In quell’incipit c’è già tutto. E aggiungiamo: «Viviamo un tempo di profonda crisi, scriviamo a tutti voi perché crediamo che la nostra fede possa illuminare tempi bui come questi». È una frase questa che riprendiamo dal commento che il reverendo Martin Luther King, difensore dei diritti civili negli Stati Uniti, fece alla parabola del buon samaritano. Il prete e il levita che passarono oltre non si fermarono ad aiutare il viandante ferito perché ebbero paura. Si chiesero: «Cosa mi può succedere se mi fermo?». Invece il samaritano si chiese: «Cosa mi può succedere se non mi fermo e passo oltre?». 

A chi vi rivolgete con questo documento?

A tre gruppi. Intanto alle nostre sorelle e ai nostri fratelli palestinesi dei luoghi dove più fortemente si è scatenata la violenza, ai quali ci riferiamo dicendo: «Noi non passiamo oltre, non ci scordiamo di voi, ma vi siamo solidali, vi portiamo nelle nostre preghiere. Piangiamo con voi.  E cerchiamo di far sentire il vostro pianto in un mondo che deve essere scosso nella sua complice inerzia». E poi, appunto, ci rivolgiamo a tutti coloro che nel mondo rimangono silenti. Noi riconosciamo la loro paura; magari in cuor loro pensano che qualcun altro si fermerà lungo la strada a provvedere aiuto al posto loro. Ma nessuno si sta fermando. Recentemente il presidente statunitense Donald Trump ha dichiarato che presto annuncerà un futuro stabile per la nostra terra. Noi temiamo che l’annessione dei territori palestinesi da parte di Israele sia ormai imminente. Ora è il momento di insistere perché i palestinesi abbiano il diritto di vivere nella propria terra, unendoci a tutti coloro che nel mondo vogliono un futuro di pace, uguaglianza e giustizia tanto per i palestinesi che per gli israeliani. E infine ci indirizziamo a tutti quelli che pensano che sia volontà di Dio che i palestinesi siano cancellati dalle mappe geografiche e le loro terre siano annesse a Israele. Vogliamo dire loro che sono stati disorientati, perché tutti, israeliani e palestinesi, siamo stati creati a immagine e somiglianza di Dio, uguali in dignità e diritti. Il nostro Dio è il Dio amore, che rifiuta la violenza, e ama indifferentemente tutti i figli di Dio. «Ama il prossimo tuo (“il tuo vicino”) come te stesso» (Levitico 19, 18; Matteo 23, 39; Marco 12, 31; Luca 10, 27; Romani 13, 9): i palestinesi sono i “vicini” dell’oggi. Espellere i palestinesi, in questo senso, non è un crimine, è un sacrilegio. 

Padre David, realisticamente, lei pensa che questo orrore possa finire presto?

Le rispondo francamente: personalmente non vedo molte speranze all’orizzonte. Ma come gruppo affermiamo con convinzione la speranza cristiana. Nell’approssimarsi della Pasqua cristiana preghiamo perché la Luce pervada questa umanità che oggi è smarrita nel buio. Ma «in Lui c’è la vita eterna, e questa vita dà luce a tutta l’umanità. La sua vita è la luce che splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno ricevuta» (Giovanni, 1, 3).



Dal sito Vatican News

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