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Nobel per la Fisica 2024, premiata la scienza che cerca risposte, senza smettere di farsi domande

Il Nobel per la fisica 2024 assegnato a John Hopfield e Geoffrey Hinton “per scoperte e invenzioni fondazionali che abilitano l’apprendimento automatico nelle reti neurali artificiali”. La scelta, pur avendole al cuore, va oltre le scoperte scientifiche in senso stretto, non può essere, infatti, secondario il fatto che abbia scelto proprio Hinton, una figura di spicco nell’ambito della ricerca sulle reti neurali artificiali che nel 2023 ha compiuto un’importante scelta etica: lasciare Google, probabilmente contro i propri personali interessi, ma a favore di quelli dell’umanità, per poter «parlare liberamente anche dei rischi connessi con l’intelligenza artificiale». E segnatamente del pericolo che ci possa «scappare di mano».

La scelta da parte dell’Accademia di Svezia mette al centro così facendo indirettamente la più grande sfida culturale educativa del nostro tempo: evitare che la scienza, sempre più iperspecialistica per la crescita esponenziale delle conoscenze, sia appaltata a persone che sapendo tutto di un singolo segmento, perdano di vista l’insieme. La scienza cerca risposte, procedendo per errori, la sfida anche educativa di questo momento storico è che chi la porta avanti non perda la capacità di farsi domande, sugli esiti a lungo termine, delle ricerche sulle potenziali ricadute.

È ciò di cui parla papa Francesco quando ricorda che abbiamo disperatamente bisogno di un nuovo umanesimo: non perché sia possibile ripristinare storicamente l’idea di sapere in cui Giorgio Valla nel Quattrocento univa in sé la cattedra di grammatica e di retorica e gli studi sulle scienze esatte in una summa che circa tre secoli dopo avremmo chiamato enciclopedismo; ma perché nella rapidità con cui scienza e tecnologia aprono nuovi orizzonti diventa urgente interrogarsi e prevedere i pericoli per arginarli.

L’impulso alla conoscenza da sempre antropologicamente porta con sé la ricerca del limite, in contesti diversi è stata storicamente visualizzata nel racconto della sfida alla divinità, fino alla pretesa, generalmente gravemente punita di sostituirvisi: in contesti diversi la ritroviamo nei miti classici di Prometeo che ruba il fuoco, di Icaro che si avvicina al sole, del superamento delle Colonne d’Ercole, ma anche nel racconto biblico di Adamo ed Eva e della mela frutto dell’albero della conoscenza colto a dispetto del divieto.

Più recentemente evocano questo concetto le speculazioni, tra queste quella dall’epilogo non ritenuto tra i più verosimili, di Leonardo Sciascia, sulla scomparsa di Ettore Majorana, il fisico che faceva parte del gruppo di Enrico Fermi in via Panisperna scomparso nel nulla a 32 anni, nel 1938: non si sa né come né perché si siano perse le sue tracce, ma tra le suggestioni prevale quella – reale o immaginaria che sia –  che le abbia fatte perdere avendo intuito in anticipo le ricadute distruttive di quelle ricerche: la reazione a catena che ha reso possibile la bomba atomica risale al 1939.

L’Intelligenza artificiale oggi, nella rapidità della sua evoluzione, ci intriga e ci spaventa: si tende ad accoglierla polarizzandosi tra ottimismo e catastrofismo, l’uno e l’altro acritici nel perdere di vista la complessità di una questione che sta trasformando il nostro mondo, forse anche noi, e che non ha risposte semplici.

Fa riflettere però il fatto che sul tema persone di estrazione e di idee diversissime, come Paolo Benanti, francescano, presidente del Comitato per l’intelligenza artificiale istituito presso il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio e consigliere di Papa Francesco; lo storico israeliano Yuval Harari, laicissimo, autore sul tema del corposo saggio Nexus (Bombiani) e il fresco Nobel per la fisica Geoffrey Hinton chiedano tutte, partendo da prospettive e sensibilità per certi versi anche contrapposte, la stessa cosa: regole e investimenti in ricerca sulla sicurezza dell’Ia, non solo perché uno strumento potentissimo non finisca appannaggio di mani sbagliate, ma perché sia l’uomo a continuare a guidare le macchine capaci di apprendere e non il contrario.





Dal sito Famiglia Cristiana

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