«Mi viene da dire che piove sul bagnato. Il terremoto è arrivato su un Paese fragile e stremato da anni di guerra civile e lotte tra gruppi armati che continuano ad avanzare anche adesso, nell’ovest del Paese. Spero che questa tragedia possa rompere l’isolamento e il Myanmar si apra alle relazioni diplomatiche con gli altri Paesi che hanno promesso aiuti e si sono mossi per aiutarci».
È la testimonianza resa a Famiglia Cristiana da una persona della comunità cattolica, che vuole restare anonima per ragioni di sicurezza, che arriva da Yangon, la più grande città del Paese con i suoi 5 milioni di abitanti e capitale anche economica del Paese del sudest asiatico. «Noi viviamo a 500 metri dall’epicentro, Mandalay. Abbiamo sentito benissimo le scosse ma qui a Yangon non ci sono stati crolli, per fortuna, e neanche morti e feriti», spiega la nostra fonte, «moltissimi ospedali e strutture sanitarie sono crollati e ora sono ridotti a un cumulo di macerie. Il Paese non ha le forze e la capacità per fare fronte a una tragedia così imponente. Negli ultimi anni molti soldi sono stati spesi in altro modo e per alimentare la guerriglia. Tra i militari che sono al potere c’è qualcuno che cerca di intervenire a livello sociale ma la situazione generale era drammatica e adesso lo è ancora di più».
Il sisma, finora, ha causato oltre millecinquecento vittime accertate e più di tremila feriti mentre si teme una catastrofe anche dal punto di vista sanitario. «Già prima del terremoto, l’energia elettrica arrivava a singhiozzo in tutto il Paese, ogni quattro ore, adesso manca da un giorno intero e neanche Internet funziona», dice la nostra fonte, «spero che, nella tragedia, la giunta si apra all’esterno, a chi, a cominciare dai Paesi più vicini, ha dimostrato solidarietà. Qui non c’è una persecuzione religiosa ai danni dei cristiani in quanto cristiani ma tutte le minoranze, cristiani compresi, sono nel mirino della giunta militare perché si oppongono con forza al regime».
La BBC ha riferito che, incurante del devastante terremoto che ha colpito il Paese, la giunta militare ha continuato a effettuare attacchi aerei in diverse regioni del paese dove sono attivi i ribelli che si oppongono al regime.
Secondo la Peoplès Defense Force, la milizia che si batte contro la giunta, il villaggio di Nwe Khway, nel distretto di Chaung U a Sagaing, regione epicentro del sisma, è stato bombardato due volte. Altri raid aerei sono stati condotti a Ley Wah, nello stato di Kayin, vicino al quartier generale dell’Unione Nazionale Karen (che si batte per l’indipendenza) e a Pyu, nella regione di Bago. L’organismo delle Nazioni Unite che indaga sulle violazioni dei diritti umani nel Paese ha lanciato l’allarme: i militari stanno commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità contro il proprio popolo. I militari, come ha riportato sempre la BBC, stanno cercando di reprimere una rivolta armata a favore della democrazia in tutto il paese, che lotta per rimuoverli dal potere. Un’indagine sui dati condotta dall’emittente inglese alla fine dell’anno scorso ha scoperto che ora l’esercito controlla solo meno di un quarto del Paese.
Tuttavia con le sue forze aeree l’esercito riesce a prevalere: utilizzando jet da combattimento russi e cinesi, ha condotto e conduce attacchi aerei devastanti in tutto il paese.
In Birmania l’89 per cento della popolazione è buddista. I cristiani non arrivano all’8 per cento, dei quali l’1 per cento sono cattolici. I musulmani sono il 3,76 per cento.
Un’altra testimonianza arriva da Yaung Ni Oo, operatrice umanitaria birmana di base a Yangon ma originaria di Mandalay, che ad Asia News ha raccontato qual è la situazione: «A Sagaing dicono che l’80% della città è andata distrutta, le devastazioni sono ovunque, i ponti sono crollati o inutilizzabili e si devono usare le barche per guadare i fiumi creando ulteriori criticità nelle operazioni di soccorso», ha raccontato, «in città non arrivano aiuti e molti decidono di dormire in terra o sotto gli alberi, anche perché per tutta la notte sono proseguite le scosse di assestamento, a centinaia, alcune delle quali forti e la gente è spaventata».Uno dei pochi aspetti positivi, ha aggiunto, è «la solidarietà fra cristiani, buddisti e musulmani».
Nella regione dell’epicentro del terremoto, a Chantagon, Anisakan e Pyin Oo Lwin, sono presenti anche le suore salesiane Figlie di Maria Ausiliatrice. Stanno tutte bene ma i loro edifici sono distrutti. Ingenti danni sono stati registrati in particolare alla Comunità Beata Laura Vicuña di Chantagone, da cui le Salesiane scrivono: «I muri del complesso sono crollati e anche l’edificio a due piani dove si trova il Centro di Formazione Professionale di informatica e contabilità è stato colpito. I soffitti sono crollati e in quel momento circa 5 ragazze si trovavano in casa mentre suor Mary, una sorella anziana, accompagnata da suor Rosalyne, era alla clinica per alcune cure mediche.
La direttrice, suor Elizabeth, e altre due giovani sorelle erano a un seminario in un’altra comunità. Sono tornate subito dopo aver appreso la notizia. Le suore raccontano ancora che «le stanze sono distrutte e non si può dormire in quell’edificio. Tutte le linee elettriche sono state interrotte, quindi non c’è elettricità, si deve risparmiare per usare il telefono e il carico di dati internet è molto lento». Per la prossima notte le suore e le ragazze hanno dormito nell’edificio della scuola materna «che ha solo il piano terra e ha i muri abbastanza solidi. Anche le case del villaggio di Chantagon sono andate distrutte». Nel messaggio le Salesiane riferiscono che anche la Comunità di Santa Maria D. Mazzarello di Anisakan è stata colpita e i muri della Casa sono pieni di crepe.