Lo stemma episcopale di monsignor Tarantelli Baccari col motto latino «Semper orare et non deficere»
«La preghiera, il servizio senza stanchezza e il sorriso». Sono i tre cardini su cui Renato Tarantelli Baccari, il nuovo vicegerente della diocesi di Roma, vescovo ausiliare della capitale per il settore sud e vicario generale di Ostia fonderà il suo apostolato. Lo ha detto lui stesso nel breve messaggio rivolto ai numerosi presenti al termine della sua ordinazione episcopale lo scorso 4 gennaio nella basilica di San Giovanni Laterano, a cui ha assistito papa Francesco, che lo ordinò sacerdote nello stesso tempio il 22 aprile 2018, meno di 6 anni fa. E c’è da giurare che nella nuova, complessa missione don Renato che rinunciò già quarantenne a una brillante carriera di avvocato esperto in materia tributaria per l’irresistibile «chiamata», avrà una costante e silenziosa alleata: Maria. Non solo perché, come lettrici e lettori di Maria con te sanno da tempo, è il solerte rettore del santuario romano della Madonna della Rivelazione (ha composto per Lei un’intensa preghiera), ma perchè la Vergine è stata da sempre la compagna del suo cammino di fede. E lo conferma in pieno lo stemma che ha scelto quale vescovo titolare di Campli, in cui prevale il colore verde, quello del manto della Madonna che apparve nel 1947 a Bruno Cornacchiola nell’antro alla Tre Fontane, sulla Laurentina, in cui è sorto il santuario di cui è rettore. «Da quand’ero piccolo ho imparato ad amare l’Eucarestia, la Vergine e il Papa, ed è questo che il mio stemma riassume alla luce del messagio di Maria alle Tre Fontane», ci spiega riguardo alla sua insegna mariana che sintetizza la sua vocazione al servizio della Chiesa universale e va osservato in stretta connessione con il motto Semper orare et non deficere, Pregare sempre e non venire meno, tratto da un sermone di sant’Agostino. A elaborarla con precisione è stato don Antonio Pompili, vicepresidente dell’Istituto Araldico Genealogico Italiane, richiamando il percorso vocazionale e i valori spirituali di monsignor Tarantelli Baccari, soprattutto in riferimento alle dimensioni della preghiera e della perseveranza. Sull’affascinante e per certi aspetti misterioso blasone episcopale mariano appare, nel primo quadrante, l’agnello attraversante la croce che si staglia su campo d’oro, esplicito riferimento al santuario di Knock, in Irlanda. «Il mio legame con l’Irlanda è molto forte. Ci sono andato più volte da giovane per imparare l’inglese, durante i mesi estivi, e poi ho sviluppato una passione per la cultura e la musica irlandese fino a quando, dopo gli studi giuridici, sono andato a vivere lì per un po», racconta il neo-presule, che apprezza molto l’apertura alla spiritualità tipica del popolo irlandese. «Ho amato la storia avventurosa dei santi irlandesi, come san Patrizio, san Colombano – abate, monaco pellegrino – e santa Brigida di Kildare, e sono rimasto affascinato dalla storia dell’apparizione silenziosa della Vergine Maria a Knock», aggiunge, per spiegare questo importante elemento del suo stemma episcopale, che evoca il santuario irlandese, nella contea di Mayo, che ogni anno accoglie un milione e mezzo di pellegrini, attirati dall’apparizione avvenuta il 21 agosto 1879. La prodigiosa visione è stata riconosciuta dalla Chiesa cattolica: 15 persone videro quel giorno, per una durata di due ore nella parrocchia del villaggio, in candide sembianze e avvolti in una luce brillante, l’Agnello, la Vergine Maria, san Giuseppe e san Giovanni Evangelista. Questo santuario è stato dunque un luogo fondamentale nella storia vocazionale del vescovo Renato. «L’identificazione e la raffigurazione di Gesù come agnello si ritrova nel Vangelo (Gv 1, 29.36) sulla bocca di Giovanni Battista che indica Gesù come il Messia definendolo l’“Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. L’immagine dell’agnello applicata a Cristo si trova poi abbondantemente presente (ben 28 volte) nell’Apocalisse, testo che, ben lontano dal costituire una minaccia, rivela l’amore infinito di Dio per noi», sottolinea monsignor Tarantelli Bacari. E puntualizza: «il Cristo-Agnello non è solo la vittima immolata ma, nello stesso tempo, è il Cristo vittorioso, in piedi in quanto tornato alla vita: egli è anche il guerriero vincitore, il condottiero, il pastore degli eletti che li guida alla vittoria e alle fonti delle acque della vita, il vittorioso sovrano della storia, e, fin dalla sua prima descrizione nel capitolo 5, è il Signore glorificato che al pari di Dio riceve lode e adorazione». Questo riferimento all’Apocalisse, parola greca che etimologicamente significa “Rivelazione”, non è estraneo al santuario mariano romano di Tre Fontane, dove la Madonna apparve quasi 80 anni fa. «Il colore verde richiama certo l’Irlanda ma soprattutto il manto della Madonna della Rivelazione», osserva il vicegerente della diocesi di Roma, descrivendo il secondo quarto dello stemma dove una lettera “M” d’argento campeggia su uno sfondo di questa tonalità. L’iniziale è richiamo immediato al nome della Beata Vergine Maria e lo stesso argento di cui è smaltata la lettera per la sua candida lucentezza, è un richiamo alla Rivelazione divina», che cita più volte con rispetto e gratitudine. «Sono Colei che Sono nelle la Trinità Divina. Sono la Vergine Rivelazione», furono queste le parole con cui la Madonna si rivelò a Bruno Cornacchiola un violento settario che progettava l’uccisione di Papa Pio XII il 12 aprile 1947, toccandogli il cuore. «Maria è nella Trinità così come tutti sono chiamati a essere nella Trinità, quando tutti saranno una cosa sola con Dio, partecipando della gloria della risurrezione di Cristo», spiega ancora monsignor Tarantelli Baccari, facendo notare che notare che la Vergine della Rivelazione è inconfutabilmente Maria Assunta in Cielo, dogma che lo stesso papa Pacelli proclamò tre anni dopo le mariofanie delle Tre Fontane, cogliendo in esse una conferma di questa verità di fede, specie in quanto Maria sussurrò a Cornacchiola prima del congedo: «Il mio corpo non poteva marcire e non marcì». «Non a caso nello stemma la M è coronata da dodici stelle a richiamare quelle di cui si parla nel testo dell’Apocalisse (12,1), utilizzato dalla Liturgia in occasione della celebrazione annuale dell’Assunzione. Così la Vergine della Rivelazione, effigiata con un libro tra le mani a simboleggiare la Scrittura, si presenta come maestra di preghiera che, ponendosi all’ascolto della Parola di Dio si apre al mistero del Dio Uno e Trino e fa di tutta la sua vita una lode in risposta a Dio che si rivela». «Nel terzo quadrante, sempre su campo di verde, colore che richiama anche la vita, troviamo un sicomoro, albero che rimanda al noto racconto dell’incontro di Zaccheo con Gesù, incontro che ha cambiato la vita di quello che era un pubblicano rifiutato da tutti (Lc 19,1-10)», aggiunge Tarantelli Baccari. «Zaccheo è il modello dell’orante che per vivere il suo incontro con il Signore si innalza al di sopra di tutto ciò che è terreno per incontrare il suo sguardo, che è sguardo di amore e di misericordia, ed esserne trasformato». Un episodio del Vangelo quello di Zaccheo che don Renato ha valorizzato parecchio anche nel suo ministero di sacerdote, specialmente negli incontri con i giovani, mettendoli in guardia sulla necessità «di abbandonare tutto ciò con cui cerchiamo di elevarci, simboleggiato dal sicomoro, per lasciarci umilmente raggiungere dalla grazia di Dio, che sola può renderci più grandi di noi stessi donandoci la nostra vera grandezza di figli di Dio». Infine, nell’ultimo quadrante troviamo una conchiglia caricata della croce di san Giacomo. «Si tratta di un noto riferimento simbolico a Santiago di Compostela e alla pratica dei pellegrinaggi che da secoli vi sono compiuti», ci dice, rivelando del suo primo cammino di Santiago, compiuto a partire da Lourdes per quaranta giorni in inverno. Proprio alla fine di questa esperienza, decise di abbandonare la carriera d’avvocato e di rinunciare alle nozze con la fidanzata per impegnarsi nella via del dono totale a Dio, «Da lì in poi ho considerato la mia vita stessa come un pellegrinaggio di conversione permanente, durante il quale sono invitato a testimoniare la misericordia di Dio». Nella partizione di forma triangolare che si trova nella punta dello scudo si ritrova su campo d’azzurro un fiore di nardo. Si tratta di una figura scelta a suo tempo da papa Francesco per il suo stemma episcopale, e tuttora presente nel suo stemma pontificio, a simboleggiare san Giuseppe. «Ho voluto da una parte rendere un omaggio araldico al Santo Padre che mi ha nominato vescovo, e dall’altra richiamare la mia personale devozione allo Sposo della Beata Vergine Maria, che nel suo silenzio e nella sua disponibilità ad accogliere la Parola di Dio rivoltagli per mezzo dell’angelo, è per tutti un esempio di preghiera intesa come apertura del cuore al progetto divino», conclude questo pastore che, come vescovo ausiliare, affiancherà il cardinale Baldassare Reina, vicario del Papa per la diocesi di Roma. «Ripeto: ho imparato ad amare il Santissimo Sacramento, la Madonna e il Pontefice da quand’ero piccolo, specialmente attraverso i miei nonni, tre amori bianchi che compaiono nel mio stemma, alla luce del messaggio della Vergine alla Tre Fontane, un messaggio quanto mai attuale in questo anno giubilare».