«Papa Francesco è stato essenzialmente un Papa di pace. Anzi, uno dei punti forti del suo pontificato è stato costruire ponti, cercare il dialogo con persone o gruppi di persone che sembrano più lontani dalla Chiesa. L’Ucraina è stata nel suo cuore, fino all’ultimo momento». Monsignor Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico a Kyiv, è rientrato nella capitale da Zaporizhzhia, nell’est del Paese, vicino alle zone del fronte, dove ha concelebrato il triduo pasquale con la Chiesa di rito latino e con quella greco-cattolica: il Giovedì Santo, il Venerdì santo e la veglia pasquale nella concattdrale romano-cattolica di Dio Padre Misercordioso con il vescovo ausiliare monsignor Jan Sobilo, la Domenica di Pasqua con il vescovo greco-cattolico monsignor Maksym Ryabukha nella Chiesa greco-cattolica di San Vladimir Principe.
«Il Pontefice sperava di fare qualcosa per raggiungere la pace», spiega il Nunzio. «E quando parlava della necessità del dialogo, prese così, alla leggera, le sue parole sembravano ingenue. Ma questa idea di fondo che il Papa lanciava era un invito a tutti i politici. Certo, il Santo Padre aveva soltanto l’autorità, non poteva costringere nessuno, né gli Stati Uniti, né la Cina, né l’India o altri Paesi. Realisticamente parlando, non si poteva pretendere che i Paesi in conflitto si sedessero tranquillamente al tavolo del negoziato. La Russia non avrebbe neanche iniziato la guerra se fosse stata disponibile in modo così semplice al dialogo. E per arrivare alla pace ci vuole un dialogo molto ben preparato».
L’appello di Francesco – riflette Kulbokas – ad alcuni suonava come molto ingenuo. Invece «semplicemente avrebbe dovuto essere accolto, prima di tutto dagli uomini di Chiesa, e poi dai politici. Cosa certamente non facile. Possiamo dire che il Papa era un po’ come Giovanni Battista: lui parlava, ma pochi raccoglievano il suo messaggio. Questo però non significa che il Santo Padre avrebbe dovuto abbandonare la sua missione: verrà un tempo in cui i cuori saranno aperti». Papa Francesco è stato un uomo di fede, un pastore, sempre molto vicino all’Ucraina, essenzialmente in due mondi: «Con l’insistenza sulla necessità che i politici del mondo siano seri nei riguardi di questa guerra e, secondo aspetto, con l’intensità della preghiera. Personalmente, sono molto gratyo a papa Francesco per quanto ha fatto».
In questi tre anni di guerra, più volte le parole del Pontefice sono state male interpretate, fraintese, dando adito a crfitiche anche aspre. A questo proposito, il Nunzio osserva: «Parlare della guerra è molto difficile. Quando si lancia un appello a uno dei Paesi in conflitto, l’altro Paese può fraintendere, non capire quell’appello. Le stesse parole vengono percepite e interpretate in modo diverso, ad esempio da chi sta a Washington, da chi sta a Mosca, da chi sta al fronte. E’ impossibile riuscire a trovare una parole, un’espressione che in un dato momento sia adatta in ugual modo a tutti. Inoltre, papa Francesco è stato sempre molto spontaneo nel suo modo esprimersi: aveva ben chiare le sue idee di fondo e le esprimeva apertamente, a volte senza scegliere le frasi e le sfumature. E spesso lui lo diceva ai suoi collaboratori, come il segretario di Stato Parolin: “Adesso è compito vostro spiegare le mie parole”. Lui non pretendeva di elaborare e articolare in modo preciso le sue frasi, lanciava le sue idee. Ed è una grande sfida per tutti noi accompagnare un Papa come lui. Io, ad esempio, nelle celebrazioni pasquali a Zaporizhzhia, mi rendevo conto che non potevo rivolgere lo stesso tipo di parole ai semplici fedeli e ai militari che avevano lasciato le trincee per partecipare alla messa di Pasqua e che erano stanchi, preoccupati per i loro compagni rimasti al fronte. Non si può dunque pretendere che un Papa possa essere sempre e ovunque capito allo stesso modo, perché è impossibile parlare in modo universale». E conclude aggiungendo: «In Ucraina ho incontrato tantissime persone, associazioni dei familiari deri prigionieri, militari che mi hanno ringraziato di vero cuore per tutto ciò che il Papa ha fatto per il loro Paese».
(Foto Ansa: monsignor Visvaldas Kulbokas con papa Francesco nel 2021)