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Migranti in massa dalla Tunisia, il segno della crisi del Maghreb



Raoul Mosconi, presidente della onlus Cefa, analizza il fenomeno dei migranti tunisini, il cui numero è tra i più alti fra quelli registrati negli sbarchi in Italia: il Paese attraversando una grave crisi economica, serve un approccio innovativo e lungimirante

Giulia Mutti e Alessandro Guarasci – Città del Vaticano

Guerre, cambiamenti climatici, crisi economiche e situazioni di precarietà spingono milioni di persone a ricercare un futuro lontano dal proprio Paese. È il caso di migliaia di migranti provenienti da Bangladesh, Siria, Egitto e soprattutto dalla Tunisia, che attualmente sta affrontando una profonda crisi. Il Magreb è sempre stato un luogo di arrivo dei migranti dall’Africa subsahariana, ma se all’epoca molti si fermavano “in Libia, Marocco e Tunisia perché trovavano lavoro, oggi, con questa crisi economica  si spostano verso il Mediterraneo”, spiega Raoul Mosconi, presidente di Cefa – il seme della solidarietà, una onlus che da 50 anni lavora per vincere fame e povertà, promuovendo progetti sostenibili per le comunità più disagiate del mondo perché raggiungano l’autosufficienza alimentare e il rispetto dei diritti fondamentali. 

Il caso Tunisia

“La Tunisia è il Paese delle primavere arabe e rappresentava – sottolinea Mosconi – una grande speranza per un futuro migliore per tante persone. Tuttavia, attualmente sta affrontando una grave crisi economica ed è un Paese alla fame soprattutto per i giovani”. Per questo motivo servono, nel momento in cui i Paesi attuano politiche migratorie dalla portata internazionale, “degli indicatori e degli strumenti di valutazione che siano attenti ai bisogni delle persone”, aggiunge. “Servirebbe – commenta – un piano di crescita che favorisca soprattutto i giovani”.

Ascolta l’intervista a Raoul Mosconi

Il piano Mattei per l’Africa

Sul piano del governo italiano in cooperazione con gli Stati africani per limitare le partenze e gli arrivi nelle coste dell’Italia, Mosconi si dice “molto pessimista sul fatto che un grande piano, con grandi obiettivi” abbia poi, “di fronte a un approccio innovativo e non predatorio, indicatori di risultato che si riducono a obiettivi minimi come quello di ridurre gli sbarchi”. Servirebbe, osserva, una “proposta più lungimirante che guardi ad un futuro di sviluppo economico e sociale nei Paesi di partenza.

Il ruolo di Cefa

La onlus Cefa, spiega il suo presidente, “opera in Tunisia da quasi vent’anni in progetti che sono tesi a creare lavoro e promuovere lo sviluppo in progetti di start up con le aziende, ma anche a favorire l’accompagnamento assistito dei migranti al ritorno”. Questo significa che Cefa lavora anche per coloro che vorrebbero tornate nel proprio Paese e si adopera “affinché queste persone riescano a trovare le condizioni per rimanere – conclude – cercando di innalzare il Prodotto Interno Lordo del Paese e aumentare le possibilità di lavoro dei giovani”.



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