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Messe, intenzioni, offerte. Che cosa si può fare e che cosa no. Il Dicastero del clero aggiorna le regole

Il Dicastero per il Clero ha aggiornato con un Decreto approvato da Papa Francesco il 13 aprile e in vigore a partire dalla prossima domica di Pasqua, la disciplina sulle intenzioni delle Messe e sulle offerte ad esse collegate, con l’intento di fornire ai sacerdoti e ai fedeli regole più chiare e trasparenti.

 


Le origini di una consuetudine che la Chiesa approva

Chiedere che una Messa venga celebrata per cari defunti o anche persone vive è una consuetudine molto antica, che il testo che introduce le norme del Decreto riassume così: «L’apostolo Paolo scrive che quanti servono l’altare hanno anche diritto di vivere dell’altare. Le norme raccolte nei primi secoli informano circa doni offerti volontariamente nella celebrazione dell’Eucaristia. Di essi una parte era destinata ai poveri, una parte allamensa episcopalise a coloro ai quali il Vescovo offriva ospitalità, una parte al culto e una parte ai chierici celebranti o assistenti, secondo un criterio di distribuzione prestabilito. Quanti facevano offerte erano, in tal modo, coinvolti in maniera speciale nel Sacrificio Eucaristico. I doni offerti durante l’Eucaristia, e successivamente anche al di fuori, erano considerati come una ricompensa a un benefattore, come un dono in occasione del servizio (occasione servitii) compiuto dal sacerdote, come un’elemosina e mai come “prezzo di vendita” per qualcosa di santo; ciò infatti diventerebbe un atto simoniaco. In questo tempo la Messa veniva già celebrata, su richiesta dei fedeli, per una determinata intenzione, anche se non accompagnata da un dono. Successivamente si sviluppò l’uso di offrire un’elemosina per la celebrazione di una Messa e di dare doni al sacerdote o alla Chiesa. Proprio questa pratica costituisce il precedente dell’offerta per la celebrazione della Messa».

«A partire dalla fine del decimo secolo – ricostruisce il Decreto – , per chiedere la celebrazione della Messa per una determinata intenzione, venivano offerti doni commemorativi. In questo stesso periodo sorgono le fondazioni di Messe, ovvero l’obbligo di celebrare Messe per intenzioni prefissate. Nacque così l’uso di elargire un’offerta in occasione della Messa, usanza che la Chiesa, non solo approva, ma raccomanda e promuove».

mantenere la parola data, evitare anche l’apparenza di “commercio”

  

La consuetudine secolare e la disciplina della Chiesa insistono «perché a ciascuna singola offerta corrisponda la distinta applicazione, da parte del sacerdote, di una Messa da lui celebrata».

Sono regole e prassi che: «s’ispirano palesemente a due ordini di considerazioni: la giustizia verso gli offerenti, e cioè il mantenimento della parola data agli offerenti, e il dovere di evitare che ci sia anche solo la mera apparenza di “commercio” di cose sacre».

 


Più intenzioni in una sola celebrazione. Si può?

In riferimento a questi due principi il Decreto chiarisce aspetti relativi alla possibilità o meno di cumulare intenzioni per persone diverse nel corso di una sola celebrazione richiesta da più fedeli, esigenza che sembra ravvisarsi soprattutto nelle situazioni nelle quali un numero esiguo di sacerdoti rende difficile rispondere a tutte le richieste. Come regolarsi, che cosa è ammesso dal diritto canonico e che cosa invece tradisce lo spirito originario?

Il Dicastero guidato dal cardinale Lazzaro You Heung-sik stabilisce che, se disposto dal concilio provinciale o dalla riunione dei vescovi della provincia, «i sacerdoti possono accettare più offerte da offerenti distinti, cumulandole con altre e soddisfacendovi con una sola Messa, celebrata secondo un’unica intenzione ‘collettiva’, qualora – e soltanto qualora – tutti gli offerenti ne siano stati informati e liberamente abbiano acconsentito» e, in assenza di consenso esplicito, non vale il silenzio-assenso semmai nel silenzio si deve anzi presumere il dissenso.

Se da un lato si raccomanda che «ogni comunità cristiana sia attenta a offrire la possibilità di celebrare Messe giornaliere di intenzione singola», il Decreto ammette che il sacerdote possa «celebrare differenti Messe anche secondo intenzioni ‘collettive’, restando fermo che gli è lecito trattenere, quotidianamente, una sola offerta per una sola intenzione tra quelle accettate». Lecito, in caso di necessità, cumulare le intenzioni con il consenso degli offerenti, ma non cumulare le offerte.

La tutela dei bisognosi

  

Il Decreto a questo proposito rinnova le regole già attualmente in vigore, per cui: «Il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per l’amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più bisognosi siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà». E ogni Vescovo può disporre disporre la destinazione delle offerte «alle parrocchie in stato di necessità della propria o di altre diocesi, specialmente nei paesi di missione».

 


Vescovi e Parroci devono vigilare e contrastare le condotte illecite

Viene ribadito, in norme specifiche, che Vescovi e Parroci hanno il dovere di erudire il rispettivo clero e popolo circa il contenuto e significato di queste norme, e vigilare sulla loro corretta applicazione, curando che si annotino accuratamente sull’apposito registro il numero delle messe da celebrare, le intenzioni, le offerte e l’avvenuta celebrazione nonché prendendo ogni anno visione di tali registri, personalmente o tramite altri».

E in modo particolare «debbono assicurare che sia a tutti eminentemente chiara la distinzione tra l’applicazione per un’intenzione determinata della Messa, (ancorché “collettiva”) e il semplice ricordo nel corso di una celebrazione della Parola o in alcuni momenti della celebrazione eucaristica»: «sia specialmente reso noto a tutti che la sollecitazione o anche solo l’accettazione di offerte» nei due casi sopra citati è «gravemente illecita; laddove simile uso sia indebitamente diffuso» chi di dovere non escluda, «il ricorso a misure disciplinari e/o penali per debellare tale deprecabile fenomeno».

 

Papa Francesco: “La Chiesa non è una dogana”

  

A preambolo di tutte queste norme il Decreto inserisce una citazione dalla Evangelii Gaudium di Papa Francesco, che con la consueta attitudine comunicativa scrive: «L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa». ùIl Dicastero per il Clero annuncia che, trascorsi dieci anni dall’entrata in vigore di queste norme, promuoverà uno studio della prassi e della normativa vigente in materia, per verificarne l’applicazione e valutarne un aggiornamento.





Dal sito Famiglia Cristiana

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