«Signore e signori», si è interrogato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella incontrando le vittime di Hiroshima e Nagazaki in Giappone, «occorre oggi interrogarsi. Il dramma che si è consumato a Hiroshima e Nagasaki, suona a sufficienza quale richiamo alle coscienze sulla capacità autodistruttiva che l’umanità ha generato? A ottant’anni di distanza, quei due lampi accecanti, quelle due onde d’urto inimmaginabili, costituiscono ancor oggi un monito intangibile, il fulcro di una avvertita coscienza?».
« L’atrocità di quei due momenti», ha ricordato, prima di affermare con chiarezza il suo monito perché quella lezione non vada perduta nel presente, «le terribili conseguenze delle radiazioni, contribuirono a formare il consenso internazionale intorno a un imperativo morale: che la bomba atomica non dovesse mai più essere utilizzata. Da quell’orrore trasse nuovo vigore il dibattito sul disarmo. Il Trattato di Non Proliferazione del 1968, ancor oggi architrave della vita internazionale, cristallizza un impegno che ogni Stato ha assunto il dovere di onorare. Eppure, oggi, l’architettura del disarmo e della stessa non proliferazione delle armi di distruzione di massa appare minata da irresponsabili retoriche di conflitto, quando non dai conflitti in atto. Minacce di ricorso agli ordigni nucleari sono pronunciate con sconsideratezza inquietante. Sono in gioco i destini dell’umanità. Trattati fondamentali sono ostacolati o abbandonati. Si vagheggia persino di “armare” lo spazio extra atmosferico, sottraendolo a una cooperazione pacifica a beneficio di tutti».
Con parole pacate ma chiare, il Capo dello Stato, esprime tutta la sua preoccupazione anche per l’atteggiamento della Russia da cui è stato più volte per i suoi interventi pubblici pesantemente personalmente attaccato in modo inedito: «Il tabù nucleare – pilastro nei rapporti internazionali per decenni – viene eroso, pubblicizzando l’esistenza di armamenti atomici di cui si sottolinea la portata cosiddetta “limitata”, controllabile, asseritamente circoscritta a singoli teatri di operazioni e, dunque, implicitamente suggerendo la loro accettabilità nell’ambito di guerre che si pretenderebbero locali. La Federazione Russa, in particolare, si è fatta promotrice di una rinnovata e pericolosa narrativa nucleare, a cui si aggiungono il blocco dei lavori del Trattato di Non Proliferazione, il ritiro dalla ratifica del Trattato sulla messa al bando totale degli esperimenti nucleari e le minacce rivolte all’Ucraina, instillando l’inaccettabile idea che ordigni nucleari possano divenire strumento ordinario nella gestione dei conflitti come se non conducessero inevitabilmente alla distruzione totale. La Repubblica Italiana condanna fermamente queste derive pericolose.
«Occorre ribadire, con determinazione inequivocabile», afferma Mattarella, «che una guerra nucleare non può essere vinta da alcuno e non deve mai essere combattuta. Le potenze nucleari, soprattutto quelle che siedono quali membri permanenti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non possono esimersi dal rispettare gli obblighi che hanno concorso a definire. Il dialogo strategico ha, sin qui, evitato un nuovo olocausto nucleare. Occorre impedire che la logica dello scontro porti a imboccare sentieri forieri soltanto di indicibili sofferenze, lutti, distruzione. Le minacce si vanno moltiplicando, con lo sviluppo di arsenali la cui unica giustificazione appare quella dell’aggressione e della dominazione e non della difesa. In questa area del mondo che ha così sofferto appare imperdonabile l’atteggiamento della Corea del Nord. Pyongyang deve abbandonare immediatamente il proprio programma atomico e missilistico, e impegnarsi nel percorso della denuclearizzazione della penisola coreana. Al termine di una guerra disastrosa, di cui sono stati, purtroppo, corresponsabili, il Giappone e l’Italia hanno saputo contribuire alla ricostruzione di un ordine internazionale fondato su regole condivise e valide per tutti, a tutela della pace, della stabilità e, quindi, anche dello sviluppo economico e sociale. Non è immaginabile essere, oggi, corresponsabili di un ritorno a criteri di scontri imperialistici che contraddicono il faticoso cammino compiuto dall’umanità negli ultimi ottant’anni. Insieme siamo chiamati a sostenere le nostre civiltà e gli ordinamenti che hanno consentito loro di risollevarsi e di crescere».