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“M. Il figlio del secolo”: Mussolini tra grottesco e terrore

Preannunciata da una grande battage è finalmente arrivata su Sky Atlantic e in streaming su Now “M.Il figlio del secolo”, la serie in otto episodi che racconta l’ascesa al potere di Benito Mussolini, tratta dal primo volume dell’omonimo romanzo di Antonio Scurati, (di cui era già andata in scena al Piccolo di Milano una splendida versione teatrale di Massimo Popolizio). Chi si aspettava una ricostruzione documentaria o un pamphlet militante rimarrà deluso. Questa serie non è un manuale di storia, ma una sorta di giostra grottesca e ironica che trasforma Mussolini in un personaggio quasi surreale, a metà strada tra la caricatura e il mostro tragico.
Il regista Joe Wright (“Espiazione” e “L’ora più buia”) trasforma il materiale narrativo attraverso una serie di frenetici quadri in chiaroscuro o con i colori delle tele futuriste di Boccioni e Balla, tra cinegiornali dell’Istituto Luce, riprese distopiche e perfino fantasy. L’effetto è un mosaico visivo che a tratti ricorda il tocco di Wes Anderson in opere come “Grand Budapest Hotel”. Diciamo che utilizza il surreale per raccontare la crudeltà del reale.
Il filo conduttore è la violenza. Si parte da piazzale Loreto, con la fondazione dei Fasci di combattimento, seguita dalle spedizioni squadriste contro contadini e operai, mostrate in tutta la loro ferocia, e si finisce con il discorso del Duce in Parlamento del 3 gennaio 1925 in cui si assume la responsabilità per il delitto Matteotti, nell’apatia totale di chi governa e del re, segnando di fatto l’inizio della dittatura fascista.
Ci sono il “rivale” Gabriele D’Annunzio, la moglie contadina Rachele l’amante Margherita Sarfatti, cui Mussolini deve tutto, a comnciare dalla ripresa grottesca dell’epopea dell’Impero Romano. La serie, pur nella sua costruzione barocca e nelle licenze storiche (nel 1919 le violenze dei socialisti non avevano nulla da invidiare a quelle dei fascisti mentre nella serie appaiono come agnelli sacrificali), non tradisce lo spirito critico del romanzo di Scurati, mettendo a nudo la brutalità che ha segnato l’ascesa al potere del Duce.
E il fatto che l’intento del progetto non sia solo la sterile ricostruzione storica è reso palese dallo stesso Mussolini che nel prologo, come farà poi nel resto della serie, si rivolge direttamente allo spettatore. La rottura della cosiddetta “quarta parete” che separa attori e spettatori, sempre più spesso usata nelle serie Tv e nei film (il primo che mi ricordo è Kevin Spacey in “House of Card” ma anche “Persuasion”, di Carrie Cracknell e tanti altri) è un espediente adoperato dal regista per mettere in luce tutta la negatività del personaggio. Il protagonista  Luca Marinelli ammicca fin dall’inizio alla cinepresa, chiedendo la complicità dello spettatore: «Seguitemi, anche voi diventerete fascisti» con tutta la feroce ironia che ne consegue. Messaggi chiari, diretti, superficiali, senza particolari introspezioni: «C’è sempre un tempo in cui i popoli van verso le idee semplici: la sapiente brutalità degli uomini forti.
Non è un film antifascista nel senso politico o propagandistico. È quasi un “graphic novel” in cui la maschera del Duce rivive come un personaggio grottesco, turpe, caricaturale, in bilico tra la farsa e il terrore, a tratti perfino comico (non mancano salaci battute). In alcune scene, come quelle dei comizi o dei discorsi nei teatri, Mussolini, interpretato magistralmente da Marinelli, sembra Cetto La Qualunque o addirittura il sindaco di Roncofritto interpretato da Paolo Cevoli. Del resto nel suo potere funesto c’è sempre stata una sorta di patina da attore da avanspettacolo: pensiamo alle sue pose studiate dal balcone di Palazzo Venezia, con quella sua mimica teatrale e autocompiaciuta e quello strabuzzare d’occhi, per non parlare del suo vestiario. Il regista sa cogliere e amplificare questi aspetti, come quando lo fa salire sul palco del Congresso del Fascismo di Firenze del 1921 in bislacca tenuta bianca da aviatore. Dunque l’ironia e la comicità per descrivere l’anima nera del personaggio. La violenza, sembra dirci il regista, si nasconde nell’anima nera di un clown vestito in uniforme o con un cappotto di pelle nera. Ma soprattutto, vuole dirci il regista, quella violenza può ritornare. Del resto i film distopici di solito trattano di “causionary tale” racconti di cautela che ci mettono sul chi va là rispetto al ritorno del male. È questa la lezione della serie Tv “M” è sempre in agguato, perché può ritornare, si nasconde come un batterio o un virus tra le pieghe del tempo, della storia, della politica, della società, dell’uomo. Ecco il senso della distopia, del graphic novel, delle atmosfere buie da Gotham City che avvolgono Milano e le altre città, mescolate ai cinegiornali. Condensate in quella frase agghiacciante pronunciata dal protagonista: «Guardatevi attorno, siamo ancora tra voi».
 

 





Dal sito Famiglia Cristiana

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