In una Domenica delle Palme in cui dal mondo giungono immagini di quotidiane macerie e le notizie del pronto soccorso bombardato a Gaza, mentre i due fronti si rimpallano reciproche accuse per l’evacuazione non arrivata in tempo, e di un attacco missilistico russo su Sumy a nordest dell’Ucraina, «con molti morti» secondo fonti ucraine.
In una Domenica delle Palme in cui l’ulivo e la colomba simboli di pace sembrano lontanissimi dalla quotidianità, si eleva il grido di dolore di papa Francesco, che, convalescente, affida la lettura dell’omelia al Cardinale Leonardo Sandri: «Quanti cirenei portano la croce di Cristo! Li riconosciamo? Vediamo il Signore nei loro volti, straziati dalla guerra e dalla miseria? Davanti all’atroce ingiustizia del male, portare la croce di Cristo non è mai vano, anzi, è la maniera più concreta di condividere il suo amore salvifico».
Attraverso la voce altrui papa Francesco non si stanca di invocare la misericordia come strada per ricucire il mondo lacerato dai conflitti. «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore». È così che la folla acclama Gesù, mentre entra in Gerusalemme. Il Messia passa dalla porta della città santa, spalancata per accogliere Colui che pochi giorni dopo ne uscirà maledetto e condannato, carico della croce. Oggi anche noi abbiamo seguito Gesù, prima con un corteo festoso e poi su una via dolorosa, inaugurando la Settimana Santa che ci prepara a celebrare la passione, morte e risurrezione del Signore. Mentre guardiamo, tra la folla, i volti dei soldati e le lacrime delle donne, la nostra attenzione viene attirata da uno sconosciuto, il cui nome entra nel Vangelo all’improvviso: Simone di Cirene. Quest’uomo viene preso dai soldati, che “gli misero addosso la croce, da portare dietro a Gesù”. Arrivava in quel momento dalla campagna, passava di là, e si è imbattuto in una vicenda che lo travolge, come il pesante legno sulle sue spalle».
«Mentre siamo in cammino verso il Calvario – osserva papa Francesco – , riflettiamo un momento sul gesto di Simone, cerchiamo il suo cuore, seguiamo il suo passo accanto a Gesù. Anzitutto il suo gesto, che è così ambivalente. Da un lato, infatti, il Cireneo viene obbligato a portare la croce: non aiuta Gesù per convinzione, ma per costrizione. Dall’altro, egli si trova a partecipare in prima persona alla passione del Signore. La croce di Gesù diventa la croce di Simone. Non però di quel Simone detto Pietro che aveva promesso di seguire sempre il Maestro. Quel Simone è scomparso nella notte del tradimento, dopo aver proclamato: «Signore, con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte». Dietro a Gesù non cammina ora il discepolo, ma questo cireneo. Eppure il Maestro aveva insegnato chiaramente: “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Simone di Galilea dice, ma non fa. Simone di Cirene fa, ma non dice: tra lui e Gesù non c’è alcun dialogo, non viene pronunciata una parola. Tra lui e Gesù c’è solo il legno della croce. Per sapere se il Cireneo ha soccorso o detestato l’esausto Gesù, col quale deve spartire la pena, per capire se porta o sopporta la croce, dobbiamo guardare al suo cuore. Mentre sta per aprirsi il cuore di Dio, trafitto da un dolore che rivela la sua misericordia, il cuore dell’uomo resta chiuso. Non sappiamo cosa abiti nel cuore del Cireneo. Mettiamoci nei suoi panni: sentiamo rabbia o pietà, tristezza o fastidio? Se ricordiamo che cosa ha fatto Simone per Gesù, ricordiamo pure che cosa ha fatto Gesù per Simone – come per me, per te, per ognuno di noi –: ha redento il mondo. La croce di legno, che il Cireneo sopporta, è quella di Cristo, che porta il peccato di tutti gli uomini. Lo porta per amore nostro, in obbedienza al Padre, soffrendo con noi e per noi».
«È proprio questo il modo, inatteso e sconvolgente, col quale il Cireneo viene coinvolto nella storia della salvezza, dove nessuno è straniero, nessuno è estraneo. Seguiamo allora il passo di Simone, perché ci insegna che Gesù viene incontro a tutti, in qualsiasi situazione. Quando vediamo la moltitudine di uomini e donne che odio e violenza gettano sulla via del Calvario, ricordiamoci che Dio trasforma questa via in luogo di redenzione, perché l’ha percorsa dando la sua vita per noi. Quanti cirenei portano la croce di Cristo! Li riconosciamo? Vediamo il Signore nei loro volti, straziati dalla guerra e dalla miseria? Davanti all’atroce ingiustizia del male, portare la croce di Cristo non è mai vano, anzi, è la maniera più concreta di condividere il suo amore salvifico. La passione di Gesù diventa compassione quando tendiamo la mano a chi non ce la fa più, quando solleviamo chi è caduto, quando abbracciamo chi è sconfortato. Fratelli, sorelle, per sperimentare questo grande miracolo della misericordia, scegliamo lungo la Settimana Santa come portare la croce: non al collo, ma nel cuore. Non solo la nostra, ma anche quella di chi soffre accanto a noi; magari di quella persona sconosciuta che il caso – ma è proprio un caso? – ci ha fatto incontrare. Prepariamoci alla Pasqua del Signore diventando cirenei gli uni per gli altri».