L’attività dell’organismo pastorale è sempre più decisiva nel contesto della grave crisi economica esplosa dal 2019. “Persone che prima venivano a donare ora sono in lacrime perché si trovano costrette a chiedere aiuto”, racconta ai media vaticani il presidente, padre Michel Abbaoud
Giordano Contu – Beirut
«Avanti», dice l’infermiera. Un uomo con la camicia a quadri si sistema il gilet scuro e si accomoda per la visita oculistica. Ogni giorno sono in media 150 i pazienti accolti dal Centro di assistenza sanitaria primaria di Karas, a Beirut. Attiva dal 1972, in tutto il paese mediorientale Caritas Libano offre assistenza sociale e medica grazie a 90 strutture con circa 700 operatori e 3000 volontari. Negli ultimi anni è divenuta un vero e proprio pilastro che ha contribuito in modo fondamentale a evitare il collasso del sistema nazionale di supporto alla popolazione meno abbiente. Questo passaggio si è verificato dopo la devastante crisi economica iniziata nel 2019 che ha creato una vasta fascia di nuovi poveri, generando un aumento di circa l’80 per cento delle richieste di aiuto rivolte a Caritas.
Il lavoro essenziale di Caritas Libano
«Persone che prima venivano a donare ora sono in lacrime perché si trovano costrette a chiedere aiuto. Alcuni si vergognano e vengono in segreto per non perdere la propria dignità», dichiara ai media vaticani padre Michel Abboud, presidente di Caritas Libano. In questo colloquio ci ha spiegato gli effetti che la crisi economica e il taglio degli aiuti internazionali stanno avendo nel paese: «Tutto è iniziato nel 2019 quando i conti bancari sono stati bloccati e la lira libanese ha perso valore. Uno stipendio che prima valeva 2000 dollari oggi ne vale 200. È una tragedia, in particolare per alcune categorie di lavoratori, come per esempio gli impiegati del settore pubblico». Per questo motivo la Caritas si è attivata subito. «Abbiamo alzato la voce e chiesto aiuto in Italia, in Europa, ovunque — ha ricordato il religioso — ma una recente decisione americana ha bloccato molti aiuti: il 40 per cento dei fondi dell’Unhcr proveniva dagli Stati Uniti e ciò ha costretto Caritas Libano a licenziare personale e a interrompere alcuni servizi. Anche il World Food Programme potrebbe fermare gli aiuti: un disastro, perché il cibo è essenziale e ci sono tantissime persone in difficoltà».
Abbiamo incontrato padre Abboud a Karas, Beirut, nel quartier generale di Caritas Libano. Di fronte al centro direttivo è presente uno dei tanti Primary Health Care Center che ogni giorno in tutta la nazione offrono screening, diagnosi e consultazioni mediche. In quest’area densamente popolata alcuni giorni vengono distribuite fino a mille confezioni di medicinali, in media circa 15.000 ogni mese. Sono oltre 800 le consultazioni mediche mensili, senza contare i servizi paramedici nelle scuole (psicomotricisti e logopedisti per i bambini) e i progetti specifici per pazienti con disabilità o anziani (consegna di dispositivi medici e assistenza in denaro). In certi casi viene erogato anche un piccolo contributo per coprire i costi di ospedalizzazione.
Servizi per i libanesi e per i migranti
«Grazie a progetti specifici tutti i servizi sono per lo più gratuiti per i libanesi e i migranti, oppure vi si contribuisce con una quota irrisoria», spiega l’infermiera Rouba Chalhoub: «Distribuiamo farmaci, facciamo prescrizioni mediche, effettuiamo esami diagnostici anche grazie a un ecografo e se necessario indirizziamo le persone ai laboratori esterni per esami specifici. Offriamo servizi paramedici come psicomotricità, logopedia e fisioterapia. C’è il cardiologo, c’è il diabetologo. Abbiamo un servizio di odontoiatria e uno di vaccinazione per tutti i giovani da 0 a 18 anni. È attivo inoltre uno studio di salute mentale perché, specialmente dopo la crisi economica e l’esplosione al porto di Beirut, molte persone sono affette da disturbo post-traumatico da stress, ansia e depressione».
Le Cliniche mobili
La sede di Karas è anche il quartier generale delle Cliniche mobili: si tratta di otto veicoli che operano in tutto il Libano. «Ora stiamo acquistando altre quattro macchine da dislocare nel sud del paese per affrontare la crisi bellica e assistere i migranti», dice l’infermiera: «Così raggiungiamo le persone che vivono nelle zone rurali e nei rifugi che non hanno accesso ai servizi sanitari». È anche grazie ai donatori internazionali che è possibile dare concretezza a tutto questo. «Riceviamo aiuti soprattutto dagli Stati Uniti, dall’Unhcr, dal Programma alimentare mondiale, dall’Unione europea, dalle Caritas italiana, tedesca e tante altre», spiega padre Abboud. Sempre dall’estero arriva un contributo fondamentale per le famiglie: «Qui oggi vivono circa 4 milioni di libanesi ma all’estero ce ne sono 12 milioni. Con la crisi economica la diaspora è divenuta l’ossigeno del Libano: ogni famiglia riceveva 200 o 300 dollari al mese dai parenti oltreconfine. Perciò tanti giovani libanesi ora vedono l’emigrazione come l’unica via di sopravvivenza». C’è poi la complessa e delicata questione dei rifugiati siriani. «A partire dal 2011 — continua il presidente — a causa della guerra sono arrivati in massa e oggi ce ne sono almeno 1.500.000 registrati» in Libano. Ciò ha creato «tensioni forti tra libanesi e siriani» perché «molti vivono nei campi senza pagare acqua ed elettricità» e perché «alcuni restano in Libano solo per ricevere gli aiuti ma poi tornano periodicamente in Siria».
Come nella clinica della Caritas a Beirut, così in tutto il Libano le porte sono sempre aperte ma è fondamentale l’aiuto della comunità internazionale.